martedì 2 giugno 2015

Medusa Café, capitolo 15 -
La fine giustifica i mezzi

"Lucrezia ha detto che l'hai coperta."
"Non mi sembra che Lucrezia si sia dimostrata una persona affidabile finora."
"Sentiamo, chi sarebbe stato affidabile fino ad oggi, tu, Lancelot?"
"Nessuno è perfetto, ma non ho mai fatto del male a nessuno. Ho cercato sempre di rimediare agli errori degli altri."
"Lo so perché l'hai fatto."
"Credo che tu stia delirando."
"Io credo che per colpa tua siano morte due persone."
"Devo essere un mago se non ho neanche bisogno di toccarle le persone. Per piacere, Beth."
"Ti sei servito di una persona instabile mentalmente per uccidere Adam. E solo perché lui ti aveva sconfitto. Aveva quello che tu non hai potuto avere. Probabilmente consideravi Adam un mediocre, eppure non sei riuscito a digerire il fatto che non lo fosse per Eva. L'unico modo per vincere era colpirlo alle spalle, silenziosamente e spegnerlo per sempre. Sei disonesto."
Lancelot tacque per circa un minuto. Beth respirava appena, non era mai stata così calma.
"Hai una visione un po' distorta delle cose. Ti sbagli quando dici che sono disonesto. Mettiamo caso che quello che stai dicendo sia vero: io ho vinto, questo conta. La verità è che tu sei un'ipocrita perché ti fai portatrice di virtù, quando in realtà sei solo interessata ad imporre il tuo modo di vedere il mondo. Non ce la fai, hai bisogno di vincere. Tutti mentiamo. L'unica differenza tra me e te è che io non mento a me stesso, tu invece l'hai sempre fatto."
Beth fece un tiro di sigaretta, sorrise e poi disse calma: “Credo che sia il caso di parlare con Eva.”
“Cosa ci guadagnersti, Beth?”
“A te cosa importa? Tu non sei interessato a quello che pensano gli altri. Neanche di lei te ne frega.”
“Non parlare di cose che non conosci.”
“Sai una cosa? Pensandoci, in realtà non ci perderei proprio niente.”
“È distrutta, le faresti solo male parlandole.”
“Questo non ti riguarda più. C’è solo da guadagnarci.”
Beth fece bruciare l’ultima parte della sigaretta: sentì l’assenza di sapore del filtro. Pose il mozzicone sull’unghia dell’indice e lo trattenne qualche secondo sotto la pressione del pollice. Mirò al di là dell’uscio della porta e lanciò il mozzicone sotto la pioggia. Il suo sguardo incontrò quello di Lancelot, che per un attimo si spense. Non c’era più nient’altro da decretare. Lo spinse con tutta la sua forza. Lancelot perse l’equilibrio e cadde sotto la pioggia.

Medusa Café, capitolo 14 -
Il fine giustifica i mezzi

-Venerdì, giorno 14-


Lancelot sentì le gocce di pioggia cadere sul suo corpo, e capì che era finita. Tutto il suo lavoro gettato alle ortiche per una scommessa che aveva perso. Gli tornarono in mente le parole di John Lochness, il vecchio dell'intervista di Eva: La vita del bugiardo, però, è piena di rischi. Ogni bugia, ogni inganno, ogni manipolazione, è una nuova scommessa. E sono tutte scommesse in cui ci si gioca tutto. Questavolta, Lancelot aveva perso. Ed era peggio della roulette russa, in cui almeno avrebbe saputo spiegarsi il processo fisico con cui il percussore colpisce il proiettile e il proiettile frantuma il cervello. Era la pioggia, la maledetta pioggia assassina che aveva fatto da cornice al lento processo grazie al quale era diventato meno di un uomo, meno di una bestia, e aveva perso tutto. Mentre indietreggiava aprì le braccia e digrignò i denti in un sorriso da lupo, accettando la sconfitta e la pioggia con dignità. In quel momento poteva essere onesto con se stesso, e ammettere di essere felice all'idea di non dover assistere a ciò che sarebbe seguito all’interno del bar.


***


Aveva conosciuto Eva quando lei lo aveva intervistato, e da subito aveva deciso che l’avrebbe conquistata. L’aveva fatta accomodare nel suo ufficio, e mentre lei gli poneva le prime domande aveva messo in mostra tutti i soliti trucchi di seduzione, ma non sembravano sortire alcun effetto. Poi aveva notato la fede al dito di lei e si era reso conto di star giocando una partita molto più difficile, ma con una ricompensa molto più gratificante. Aveva cambiato tattica, come quando rinunciò al suo sogno di diventare regista ed era passato alla produzione di giochi a premi e reality show, e alla fine era riuscito a vincere la donna dei suoi sogni esattamente come aveva vinto la sua posizione e il suo stipendio, facendo leva sui desideri più cattivi delle persone, facendo credere loro che fossero giusti. Aveva passato gran parte della sua vita a mentire, mentiva anche per lavoro, ma era sempre stato sincero con se stesso, soprattutto a proposito di ciò che provava per lei.

lunedì 27 aprile 2015

Medusa Café, capitolo 13 -
Piove sul bagnato


-Giorni prima-
Ormai Ulisse non ricordava neanche più quante volte si fosse ritrovato in quella stessa, identica posizione. Se ne stava lì, sulla sedia all'angolo del gazebo, con le spalle poggiate al muro e il bicchiere leggermente sollevato di fronte ai suoi occhi, pieno di un liquido color ambra al centro del quale sembrava galleggiare il bulbo luminoso emesso dalla lampadina del lampione posto poco fuori dal gazebo.  L’unica differenza era che quel lampione, fin dal primo giorno dall’inizio del diluvio, era rimasto spento, lasciandolo completamente al buio, immerso nei suoi pensieri.
“Ci avrei scommesso che ti avrei trovato qui.”
Ulisse mosse lentamente lo sguardo sulla figura di Dante, che si avvicinava a lenti passi, tenendo stretta in mano l’agendina che portava sempre con sé. Il vecchio mendicante sorrise divertito. “Non è un po’ tardi per cercare l’ispirazione, Hemingway?” gli disse ridendo sotto i baffi e continuando a sorseggiare il suo drink. “Fammi una sigaretta, va'.”
“Generalmente ti risponderei che non è mai troppo tardi” replicò lui, sedendosi al suo fianco e iniziando ad ammassare pagliuzze di tabacco sulla cartina, “ma stasera non avrei avuto la forza di mettere la penna su carta neanche volendo. Cesare sembrava caduto in catalessi, e la situazione sembrava poter esplodere da un momento all’altro. Veramente, non potevi scegliere un momento migliore per andartene.”
“Oh, credimi, lo so bene.” gli rispose Ulisse con un sospiro. Chiuse gli occhi infastidito, lasciando il bicchiere mezzo pieno sul tavolino di fronte a lui e iniziando a massaggiarsi la fronte. “Ti sei mai chiesto quand’è che si concentreranno sul vero problema, lì dentro?”

martedì 14 aprile 2015

Medusa Café, capitolo 12 -
Non può piovere per sempre

-Mercoledì, giorno 12-


Non finirà mai. Lucrezia non poteva pensare altrimenti. Aveva passato la notte insonne, le mancava il respiro e aveva il groppo alla gola. Ormai stava piangendo sommessamente dal giorno prima, anche se durante notte il suo lamento si era spento gradualmente. Era a causa della pioggia. Dopo dodici giorni Lucrezia aveva finalmente aperto gli occhi, e si era resa conto di essere in trappola. Dopo dodici giorni la pioggia iniziò a farsi sentire nella sua testa, come se le avesse sussurrato, ehi Lucrezia, io sono sempre stata qui. Quel sussurro l’aveva spenta, ma le lacrime continuavano a cadere senza controllo, proprio come la pioggia. Non si era mossa di un centimetro dal divanetto sul quale si era rannicchiata la sera prima. La mattina dopo alcuni di loro tra cui Cesare, Margaret e Dante si erano mossi per fare colazione, decidendo di dividersi un pacchetto di biscotti da sei. Dante l’aveva notata, mentre gli altri la ignoravano completamente. Le si avvicinò con una tazza di caffè e una metà del suo biscotto alla vaniglia. Le parole consolatorie dell’uomo le scivolarono addosso: aveva la nausea e per qualche motivo sapeva che se Dante si ritrovava costretto a dividere un biscotto con lei era soltanto per colpa sua e di Cicerone. Dante era una brava persona, mentre una persona disgustosa come lei doveva almeno avere la decenza di farsi contorcere le interiora e corrodere lo stomaco dagli acidi per ripagare anche soltanto il gesto di donare un biscotto già morso. Infatti Lucrezia rifiutò la colazione rannicchiandosi nuovamente sul divanetto, come se volesse chiudersi il più possibile in un immaginario involucro protettivo. Che si fotta da sola, ha mangiato abbastanza a nostre spese, disse qualcuno. Poco contava chi fosse stato, non era forse la verità?

venerdì 3 aprile 2015

Medusa Café, capitolo 11 - Ben venga il caos


-Martedì, giorno 11-
Madeleine faceva spesso confusione quando sognava: si muoveva in un luogo ma dentro di sé sapeva di trovarsi altrove, parlava con le persone ma i volti non rispettavano le identità. Spesso parlava con quella che aveva l’aspetto di una donna con le braccia coperte di tagli, stesa su un pavimento bianco in una pozza di sangue, ma lei sapeva che in realtà era un’altra persona. Qualche settimana prima aveva sognato che quella donna era padre Simon, spesso sognava che era Maria, e quel luogo che sembrava un bagno in realtà era una chiesa, a volte un negozio, a volte casa sua. Non sempre l’aspetto corrispondeva alla realtà, e sapeva che era una cosa comune a molte persone.
Era mattina, e Madeleine camminava in silenzio nel Medusa Café, impugnando un coltello. Eppure lei sapeva che nulla di tutto ciò era vero, in realtà si trovava nel deserto in cui Satana tentò Gesù, impugnando la lancia dell’arcangelo Michele. I suoi passi non facevano rumore mentre seguiva il demonio, e lui non la sentì avvicinarsi finché non fu a pochi centimetri da lui. Il demonio si voltò verso di lei nel tentativo di ingannarla, assumendo il volto di un uomo, sì, ma di un uomo malvagio.
“Buongiorno, Madeleine, tutto bene? Cosa fai con quel-”
Non sarebbe caduta nella sua trappola di tentazione, non lo avrebbe lasciato parlare. Madeleine conficcò la lancia nello sterno del demonio e lo guardò spalancare i suoi occhi di fuoco, emettendo un grido strozzato. Le mani le tremavano per l’eccitazione e per la paura, il suo intero corpo tremava di un’estasi mistica mentre liberava la terra dal peccato e gli uomini tutti dalla prigonia della pioggia di sangue. Nel sogno, Madeleine aveva colpito Adam al petto sette volte con un coltello, nel bagno del Medusa Café. Nella realtà, aveva trafitto Satana nel deserto. Guardò attraverso la piccola finestra del bagno, e vide il sole splendere. La sua fede era stata messa a dura prova, ma lei non aveva vacillato. Era stata brava. Guardò ancora quel corpo macellato e decise che era il momento di portare a tutti la buona notizia. Uscì dalla grotta, ancora impugnando la lancia, e vide un uomo venirle incontro.

martedì 24 marzo 2015

Medusa Café, capitolo 10 -
Vita da cani



-Lunedì, giorno 10-

Quando decise finalmente di rassegnarsi alla veglia e di alzarsi era ormai passata un’oretta da quando era sorto il sole, per quanto si riuscisse a notarlo dietro quelle insopportabili nuvole che ricoprivano il cielo da una decina di giorni. Ad accoglierlo, mentre usciva, era il solito odore di terra bagnata e il rumore di gocce che tormentavano incessantemente l’asfalto, andando lentamente a corroderlo. Dieci giorni ininterrotti, quasi stentava a crederlo. Per quanto la giovane età di certo non lo aiutasse, non ricordava che fosse mai successa qualcosa del genere da quando era in vita. Fece qualche passo sotto il gazebo, giusto per stiracchiarsi. Quelle notti che stava passando nel bar non erano state tra le più comode della sua vita, soprattutto considerando che tutti gli altri avevano colonizzato il posto, facendolo sembrare più un campo di sfollati che altro. Quell’ultima notte, poi, era stata infernale. A pensarci riusciva ancora a sentire le urla della puttanella che si stava scopando Cicerone, e quell’odore così familiare che aveva impregnato tutto il piano di sotto. Saranno andati avanti per qualche ora, pensò irritato, accusando la nottata quasi insonne, quindi  il pensiero volò senza controllo all’ultima volta che era riuscito LUI a farsi una scopata. Era passato ormai qualche mese, e quei rumori, quelle sensazioni che aveva così distintamente percepito di certo non rendevano l’astinenza maggiormente sopportabile. E quello era solo il primo pensiero della giornata.
Scosse leggermente la testa, cercando di scacciare quelle immagini, prima che potessero rovinare ulteriormente la mattinata, che era già iniziata nel migliore dei modi, quando la sua attenzione venne colta da un rumore di passi.

domenica 8 marzo 2015

Medusa Café, capitolo 9 -
Funny Games



-Domenica, giorno 9-

Se solo Marley non fosse stato così ingordo la vigilia del suo primo giorno di scuola, adesso non sarebbe Marley. Tutto accadde molti anni prima quando lui aveva iniziato da qualche giorno a ritenersi “grande”.  Marley aveva scoperto che un vero uomo, quando faceva la pipì nella tazza, doveva appoggiare il palmo della mano sulla parete del muro e sospirare rumorosamente per la liberazione. Qualche giorno prima c’era riuscito, quindi adesso si poteva considerare a tutti gli effetti “grande”.  Quando ormai tutti i familiari erano a letto, si infilò in cucina e svuotò una confezione da sei di gelati in meno di settantotto secondi. Il giorno dopo, alle 7:45, la madre batté forte i pugni contro la porta del bagno, e gli disse che non avrebbe potuto saltare il primo giorno di scuola. Marley però aveva davvero la diarrea quella mattina, ma avendo paura che la madre avrebbe buttato da un momento all’altro giù la porta si decise ad uscire. Se ne avesse avuto bisogno, avrebbe utilizzato i bagni della scuola. Tanto ormai era “grande”. Ovviamente Marley fu l’ultimo ad entrare in classe e fu costretto a sedersi vicino ad Alex, un mingherlino con degli occhiali a fondo di bottiglia e gli incisivi sporgenti, che quando lo vide avvicinarsi per prendere posto gli riservò uno sguardo di terrore. Gli altri bambini risero e li presero in giro per tutta la giornata, anche perché Marley andava continuamente in bagno. Questo fu solo l’inizio di una lunga serie di sopraffazioni che nel tempo lo convinsero che il suo compito era stare con quelli strani per resistere e fare gruppo contro i bulli. Finché i bulli non divennero i figli di papà mentre lui uno di quelli che indossava jeans stracciati e fumava marijuana. Finché non capì che il discorso era politico e che il problema erano i ricchi e potenti, quindi iniziò a frequentare i centri sociali per diffondere e condividere idee pure sul bene sociale. Finché non si ritrovò a perdere tempo in un bar da quattro soldi e a doverci rimanere probabilmente per sempre.

Se solo Marley non avesse mangiato quei gelati, non sarebbe diventato niente di tutto questo e probabilmente non avrebbe dovuto giocare ad “Obbligo o verità” con degli sconosciuti, ma sarebbe stato altrove.
Cicerone, verità.

mercoledì 25 febbraio 2015

Medusa Café, capitolo 8 -
...ma alcuni sono più uguali degli altri

-Sabato, giorno 8-
Adam si era svegliato alle sette e trenta. Aveva guardato sua moglie dormire e le aveva dato un bacio sulla fronte, poi aveva indossato l’orologio e la cintura. Aveva raggiunto Marley in punta di piedi e gli aveva scosso leggermente una spalla, finchè non aveva aperto gli occhi. A quel punto era andato in bagno a lavarsi la faccia e ad osservarsi nello specchio, come faceva ogni mattina a casa sua. L’incubo della pioggia era iniziato esattamente una settimana prima, e non accennava a smettere. Ormai quasi non faceva più caso al suo rumore, e se avesse potuto avere una doccia e un cambio di abiti avrebbe potuto sentirsi a casa anche lì. Una doccia, un cambio di abiti, e suo figlio. Mentre guardava il suo riflesso, si ripeté che non poteva permettersi di pensarci, che doveva focalizzarsi sulle sue responsabilità. Soprattutto dopo gli ultimi eventi era necessario mantenere l’ordine all’interno di quel bar, e cercare di rendere la permanenza di tutti quanti più pacifica e piacevole possibile, anche se era impossibile che qualcuno avesse potuto apprezzarla più di lui. Una settimana prima era un dirigente che, per quanto rispettato all’interno del proprio ufficio, non contava niente nel mondo. Faticava ad arrivare alla fine della giornata senza lasciarsi sovrastare dall’angoscia di non possedere nulla di reale e stava per perdere sua moglie, la vedeva sempre più assente, più lontana, più vuota, e per quanto potesse mostrarsi sicuro di sé quando le diceva che avrebbero superato quel momento, era costantemente terrorizzato; nel giro di sette giorni il mondo si era ridotto a quel bar, e lui era diventato uno dei capi del mondo. Le soluzioni erano cadute dal cielo, c’era bisogno di qualcuno che sapesse comportarsi bene e gestire la situazione, qualcuno come lui. Le cose con Eva erano migliorate da quando avevano avuto modo di passare del tempo da soli nel furgoncino, e ancora di più quando il mondo aveva riconosciuto il suo valore e aveva insistito per avere lui al comando. Ed essere al comando aveva i suoi lati positivi, soprattutto perché lui era stato scelto: nessuno aveva mosso obiezioni quando, contrariamente a quanto stabilito giorni prima, Eva era rimasta a dormire con lui al piano di sotto. Adam avrebbe voluto lasciarla dormire, ma le direttive che lui e Marley avevano ricevuto da Cicerone erano state chiare: tutti sarebbero stati svegliati alle otto e perquisiti per stabilire che nessuno avesse rubato nulla, perché da quel momento il cibo sarebbe stato tenuto tutto sotto chiave da Cicerone stesso. Quando l’aveva comunicato a loro due, Adam era sicuro che Marley stesse per rispondere con uno dei suoi sproloqui sulla dittatura e l’abuso di potere, e invece il ragazzo era rimasto in silenzio, con l’aria a metà tra il perplesso e il contrariato. Una settimana prima Marley era uno studente perfettamente calato nel suo ambiente, convinto di portare avanti una lotta ideale, pensò Adam, uno di quelli che gridano a gran voce sperando di fare qualcosa di importante per il proprio futuro, uno di quei ragazzi che viveva nel sogno della comunità, della ribellione, dell’uguaglianza e della sfida al potere; nel giro di sette giorni era diventato voce e braccia di quello stesso potere, e veniva deriso costatemente per le stesse idee che una settimana prima urlava in coro, abbracciato dalla voce dei suoi coetanei.

domenica 15 febbraio 2015

Medusa Café, capitolo 7 -
Le idi di Marzo

-Venerdì, giorno 7-

Quella sera, intorno alle 21.15
Il silenzio nell’ufficio di Cesare venne interrotto solo dal suono di nocche che battevano sul legno. A sentire quel rumore il padrone del locale trasalì, disorientato nel buio della stanza. Riuscì a bofonchiare un “Chi è?” poco convinto, mentre affondava il volto tra le mani, cercando di riprendere lucidità.
“Cesare, sono io. Posso entrare?”
Si strofinò ancora un secondo il viso con le mani, per poi risponderle sì. A quel punto si diresse lentamente verso lo scaffale, prendendo un altro bicchiere da portare sulla scrivania.
Entrando, Beth rimase spaesata dal buio. Chiuse velocemente la porta e pigiò l’interruttore della luce, illuminando così la figura di Cesare seduta mentre reggeva in mano un bicchiere che sembrava essere stato usato da poco. Lo sguardo corse sulla scrivania, dove troneggiava una bottiglia che conosceva bene.
“Quella non è…”
“Si, è la bottiglia di Bourbon del ‘73. Pensavo fosse il caso di approfittarne, non so quanto tempo avrò per godermela.”
“Ma sei impazzito? Te ne stai qui, al buio, a bere liquore di nascosto. Come se la situazione già non fosse tragica. Se ti scoprono-”
“Già, se mi scoprono. E se la lascio qui e qualcuno scopre che tenevo una bottiglia del genere nascosta nel mio ufficio? Credi che servirebbe a qualcosa dire che la tenevo conservata da quando abbiamo aperto questo posto, e che non ho rubato niente? Finiremmo nella merda comunque, tanto vale toglierla di mezzo prima che se ne accorgano, no?”
Beth scosse la testa, rimanendo in silenzio. Si avvicinò alla finestra, osservando il fiume d’acqua che circondava il locale e la pioggia che continuava imperterrita. Cesare la squadrò per un istante e notò sul suo volto un’espressione nervosa. Sorrise tra sè e sè, immaginando quanto potesse essere stressante quella situazione anche per lei, e per un istante provò tenerezza nei suoi confronti.
“Come mai non hai mangiato niente stasera?” chiese improvvisamente, rompendo di nuovo il silenzio.

giovedì 5 febbraio 2015

Medusa Café, capitolo 6 -
Dura lex, sed lex

-Giovedì, giorno 6-


Tra le ore 21:00 e le ore 24:00
Lancelot era con le braccia congiunte e le gambe leggermente divaricate. La camicia, la cui pregevole fattura era ormai nascosta da aloni di sudore e qualche inevitabile macchia di caffè, fuoriusciva scompostamente dai pantaloni. Eppure aveva investito un’evidente cura nell’ arrotolarsi le maniche, sembrava che gliel’avessero cucita addosso e le pieghe fossero state fatte dai migliori sarti del mondo. Cicerone lo apprezzava soprattutto per questa sua naturale predisposizione ad apparire bene anche in condizioni estreme come quelle, per il resto gli sembrava che, quel giorno in particolare, stesse parlando un po’ troppo. Dopo aver riflettuto  l’uomo ben vestito aprì bocca.
“Abbiamo bisogno di un volontario” disse accarezzandosi con due dita la barba che ormai cresceva incolta. “Una persona che garantisca il bene comune, una persona onesta” continuò per poi fermarsi qualche secondo e guardare fuori dalla finestra la pioggia che come un incubo perseverava. “Il problema principale è sempre questa cazzo di pioggia” disse indicando con una mano piatta fuori dalla finestra, “non abbiamo tempo da perdere a giocare a guardie e ladri, dobbiamo pensare a come sopravvivere, non credete?” concluse con sarcasmo.

domenica 25 gennaio 2015

Medusa Café, capitolo 5 -
Il diavolo dietro la croce

-Mercoledì, giorno 5-

I - L’osservatore
Dante leccò la parte adesiva della cartina e la richiuse su se stessa con precisione chirurgica, poi passò la sigaretta a Ulisse.
“Stavolta hai vinto tu.”
Ulisse la strinse tra le labbra con aria soddisfatta, contento di aver vinto la scommessa. “Te l’avevo detto, sette giorni e dice che è colpa del diavolo. Ne sono bastati anche meno.” A quel punto uscì a fumare, mentre Dante si stiracchiava sul divano su cui aveva dormito. La notte prima, delle urla provenienti dal piano di sopra avevano svegliato tutti, e quando quella mattina Beth era scesa al piano terra lo scrittore l’aveva interrogata al riguardo: era stata Maria ad urlare, e aveva mormorato il nome del diavolo un paio di volte prima di ritornare del tutto cosciente. A quel punto si era limitata a dire di aver avuto un incubo a causa della cena troppo pesante e aveva continuato a recitare rosari sottovoce per ore, probabilmente sperando che nessuno la sentisse. A giudicare dalle occhiaie di Beth e delle altre donne, aveva sperato invano. Dante era convinto che quella donna avesse passato tutta la sua vita a pregare senza alcun risultato. Non aveva nulla contro la religione, anzi, riteneva che il semplice atto di credere in qualcosa potesse fare bene ad alcune persone, ma se anche la donna dalla fede incrollabile non ne aveva abbastanza da dormire tranquillamente mentre gli atei e i non praticanti ci riuscivano, verosimilmente il tempo che aveva passato in chiesa non le era servito a molto. Dopo essersi passato una mano tra i capelli, Dante aprì la sua agendina e prese qualche appunto sconnesso, come aveva sempre fatto. Erano osservazioni, idee, aforismi, sviluppi di possibili trame di racconti o romanzi, qualunque cosa gli venisse in mente. Passava tempo, a volte anche mesi, prima che li riordinasse e ne tirasse fuori qualche idea effettivamente utilizzabile, e la maggior parte venivano scartati in ogni caso, ma si divertiva a rileggerle.

La vecchia fanatica inizia a vedere il diavolo. Va in giro esorcizzando gli abitanti del bar. Inizia a dire messa e a benedire tutti prima di ogni pasto. Addita macchie nel muro dicendo che si tratta ora di Gesù Cristo, ora di Satana. Oppure è davvero Satana: esiste davvero, è sceso sulla terra per diffondere il male, ha assunto le sembianze di un cane e si fa chiamare Raider-

giovedì 15 gennaio 2015

Medusa Café, capitolo 4 -
Nulla di nuovo sotto la pioggia


-Martedì, giorno 4-


<<Buongiorno a tutti, cari ascoltatori. Mi piacerebbe rallegrare la vostra giornata, sfortunatamente però non porto buone notizie. Abbiamo chiesto aggiornamenti alle autorità, ma pare che non ci siano dei veri sviluppi. La situazione è preoccupante. Sono ormai tre giorni e tre notti che la pioggia continua, e pare che non voglia smettere. Ci hanno solo ripetuto di non uscire per nessun motivo, e che stanno cercando una soluzione. Purtroppo mi dispiace dirlo, ma credo che brancolino nel buio. Spero di ricevere presto notizie migliori, nel frattempo rimanete in ascolto e NON uscite, per l’amor di Dio. Qui è tutto, vi lascio alla musica.>>

Il comunicato parve colpire gli abitanti del bar come un pugno in faccia. Quando la musica della radio era improvvisamente calata per dar posto alla voce dello speaker si erano affrettati al piano di sotto, per ascoltare cosa avesse da dire, ma la notizia era solo riuscita a dare l’ennesimo duro colpo alle loro speranze.
Sembravano più o meno tutti sconfortati. Tutti, tranne Maria. Quel giorno la signora era scesa per ultima per fare colazione. Era arrivata giusto in tempo per sentire il comunicato, ma non sembrava esserne rimasta particolarmente colpita.
Maria credeva fermamente in Dio. Maria sapeva che tutta quella situazione, per quanto potesse sembrare senza uscita, era sempre parte del piano del Signore. Maria pensava che tutto quello fosse solo una prova della loro fede, e ad essa si rimetteva, trovando la serenità.

lunedì 5 gennaio 2015

Medusa Café, capitolo 3
-Tutti gli uomini sono uguali...

-Lunedì, giorno 3-


La luce dell’alba era talmente flebile che pareva essere lì controvoglia, un po’ come tutti gli abitanti del Medusa Café. Era già la seconda mattina che si sarebbero svegliati e ritrovati lì, e proprio come quelle mattine in cui i suoni e i rumori si fanno complici del faticoso processo di apertura degli occhi, Margaret, che fu la prima a destarsi, mentre le sue ciglia sfioravano, sbattendo infastidite velocemente sopra la superficie della lente degli occhiali che aveva dimenticato di togliersi, ascoltò sempre con più attenzione l’unico rumore perpetuo che avrebbe potuto svegliarla: la pioggia torrenziale era ancora lì, come un’ entità nuova del mondo. Prima era stesa di lato su un divanetto, le due mani giunte facevano da cuscino alla testa ricca di capelli che ormai avevano perso l’ordine e il profumo di due giorni prima, poi si poggiò sul palmo della mano destra, leggermente dolorante per una frattura procurata qualche anno prima, e dopo essersi stiracchiata il collo agitandolo alla base prima a sinistra poi a destra, si abbandonò ad un sospiro che nascondeva preoccupazione. Si alzò e senza fare rumore, evitando di mettere le scarpe con i tacchi, scese le scale arrivando davanti al bancone. Tutti gli abitanti del bar erano ancora prigionieri del sonno, quindi decise di preparare del caffè. Il profumo sarebbe stata una sveglia più piacevole per tutti gli altri rispetto a quel perenne ed orribile rumore di pioggia che aveva dovuto subire lei. Mentre alzava lo sportello per passare dall’altro lato del bancone fece caso ad alcuni scatoloni di sandwich e snack letteralmente depredati e alle relative carte e confezioni in plastica lasciate a terra. La donna scosse la testa e realizzò che Cesare si stava facendo sfuggire la situazione dalle mani. Iniziò a preparare il caffè.