martedì 24 marzo 2015

Medusa Café, capitolo 10 -
Vita da cani



-Lunedì, giorno 10-

Quando decise finalmente di rassegnarsi alla veglia e di alzarsi era ormai passata un’oretta da quando era sorto il sole, per quanto si riuscisse a notarlo dietro quelle insopportabili nuvole che ricoprivano il cielo da una decina di giorni. Ad accoglierlo, mentre usciva, era il solito odore di terra bagnata e il rumore di gocce che tormentavano incessantemente l’asfalto, andando lentamente a corroderlo. Dieci giorni ininterrotti, quasi stentava a crederlo. Per quanto la giovane età di certo non lo aiutasse, non ricordava che fosse mai successa qualcosa del genere da quando era in vita. Fece qualche passo sotto il gazebo, giusto per stiracchiarsi. Quelle notti che stava passando nel bar non erano state tra le più comode della sua vita, soprattutto considerando che tutti gli altri avevano colonizzato il posto, facendolo sembrare più un campo di sfollati che altro. Quell’ultima notte, poi, era stata infernale. A pensarci riusciva ancora a sentire le urla della puttanella che si stava scopando Cicerone, e quell’odore così familiare che aveva impregnato tutto il piano di sotto. Saranno andati avanti per qualche ora, pensò irritato, accusando la nottata quasi insonne, quindi  il pensiero volò senza controllo all’ultima volta che era riuscito LUI a farsi una scopata. Era passato ormai qualche mese, e quei rumori, quelle sensazioni che aveva così distintamente percepito di certo non rendevano l’astinenza maggiormente sopportabile. E quello era solo il primo pensiero della giornata.
Scosse leggermente la testa, cercando di scacciare quelle immagini, prima che potessero rovinare ulteriormente la mattinata, che era già iniziata nel migliore dei modi, quando la sua attenzione venne colta da un rumore di passi.
Evidentemente qualcuno nel bar si era finalmente svegliato, e fu quasi sollevato nel vedere che era Beth, che camminava visibilmente ancora assonnata, stropicciandosi gli occhi. Lo chiamò per nome, battendo leggermente la mano sulla coscia destra, come per far cenno di avvicinarsi.
Raider sapeva bene come doveva comportarsi in quelle situazioni. Meccanicamente simulò felicità nel vedere la padroncina che si era alzata, iniziando a scodinzolare ed abbaiare in modo giocoso. La ragazza sorrise, andando ad accarezzargli la testa, quindi si batté nuovamente la mano sulla coscia, questa volta facendogli cenno di seguirlo. Anche quella era fatta, pensò tra sé e sé Raider, trotterellando dietro di lei sperando in qualcosa da mangiare.
Il bar lentamente si stava rianimando. Camminando tra i tavolini notò che sembravano tutti aver risentito della notte bollente di Cicerone, che pareva aver preso il posto di Cesare a capo del branco di quei poveri disgraziati lì sotto. Era lampante che le cose non andavano proprio bene, si disse, e in particolare Beth sembrava parecchio infastidita dalla situazione. Ad altri, invece, sembrava importasse ben poco dei giochi di potere. Lancelot, ad esempio, pareva molto più interessato ad avvicinarsi alla femmina di Adam. Ogni volta che lanciava loro un’occhiata, o quando Eva gli si avvicinava, Raider riusciva a sentire nell’aria uno strano odore, una vibrazione. Quelle vibrazioni che aveva sempre notato quando si puntava una femmina in calore. Gli esseri umani, d’altro canto, a volte gli sembravano un mistero. Se si fosse ritrovato nella sua stessa situazione avrebbe probabilmente affrontato Adam per strappargli la femmina, e invece lui sembrava restio ad agire. Se ne stava là, tranquillo, a parlare con Madeleine, che dal giorno prima aveva un’aria strana, come impaurita. Non capiva di che cosa stessero parlando, sentiva solo che la voce di lei era spezzata e che sembrava pendere dalle labbra di Lancelot. Ma, in fondo, non è che gli interessasse particolarmente. Tanto più quando vide che Beth aveva riempito la ciotola. Il cane si avventò sul cibo scodinzolando, svuotando il contenitore in pochi minuti, per poi andarsi a chinare vicino ai piedi di Beth, sazio, sperando di riposare un pochino. Lei iniziò ad accarezzarlo, come per rilassarsi.
A quel punto, quasi senza farci caso, Raider si ritrovò a pensare ai tempi in cui quel modo di fare era all’ordine del giorno. Erano passati quasi quattro anni da allora, ma le cose con gli umani, notò Raider, non erano mai cambiate. Un codice comportamentale monotono, stereotipato: guarda il padrone, scodinzola e abbaia giocosamente così da esprimergli gioia per la sua presenza, fagli qualche festa, ogni tanto giocaci un po’, insomma fagli capire che lui è tutto il tuo mondo. L’unico cambiamento era che, allora, si sentiva veramente così. Questo prima che la portiera si aprisse sul ciglio dell’autostrada, una calda mattina d’agosto, per poi chiudersi senza che lui fosse a bordo. Prima che si trovasse solo, a sfuggire alle macchine o ad altri cani che la conoscevano bene, quella vita, non come lui che prima di quel momento si doveva soltanto preoccupare di non mordicchiare i piedi del divano perché altrimenti gli spruzzavano l’acqua sul muso. Prima di percorrere quella maledetta autostrada, seguendo una traccia, una scia, con la speranza che fosse tutto un errore, solo per arrivare nel cortile del giardino di casa sua e vedere la sua cuccia occupata da un altro cane più giovane.
Col tempo, anche avendo a che fare con altri come lui, aveva imparato che la sua storia non era poi così poco comune. I cani più adulti lo chiamano Abbandono da Esodo Estivo, e ogni anno le strade contavano qualche altro componente, con la stessa aria persa ed impaurita che aveva avuto anche lui, che si ritrovavano costretti ad imparare a vivere in quel mondo in cui nessuno ti dà niente e in cui devi lottare per qualsiasi cosa, dal boccone di pizza trovato rovistando nella spazzatura alla femmina in calore che faceva salire il sangue in testa a tutti. Chi non riusciva ad adattarsi, d'altronde, non sarebbe durato a lungo.
Eppure, per quanto fosse dura, l’idea di non essere l’unico ad aver fatto una fine del genere lo sollevava. Quel senso di appartenenza in fondo li univa, nonostante i contrasti che naturalmente potevano nascere per questioni territoriali o per la semplice e pura sopravvivenza. In fondo, erano tutti vittime allo stesso modo. Questo non bastò a far sì che non se la prendesse col cane che lo aveva rimpiazzato quando, un anno dopo, anche lui si ritrovò in mezzo ad una strada, ma di certo rendeva il tutto più sopportabile.
In quegli anni che aveva passato da randagio, aveva imparato due cose in particolare. La prima era che degli esseri umani non ci si poteva fidare. Lo aveva capito già quel giorno, in autostrada, ma durante il tempo questa sua convinzione si era consolidata. Era rimasto così tante volte perplesso nell’osservarli, non ultimo il momento in cui avevano deciso di chiudersi dentro quel bar quando era arrivata la pioggia, che ormai aveva rinunciato a conoscerli. Erano semplicemente troppo diversi da loro, troppo complicati, troppo strani, quasi come se fossero di un altro pianeta. La seconda però era la più importante di tutte: gli esseri umani erano superiori a loro. Non si capacitava di come riuscissero a fare quelle cose che a lui sembravano impossibili con una semplicità disarmante. Riusciva a sentire le loro voci attraverso i telefoni, nonostante chi parlasse non fosse lì presente, erano in grado di portare la luce anche durante la notte e di manipolare i suoni, ed era rimasto così tante volte disarmato nel vederli usare quegli oggetti straordinari e assolutamente al di fuori della sua comprensione, come le automobili o i televisori, che non poteva non ammettere la loro superiorità. L’aspetto più importante di questa verità, tuttavia, era che loro ne erano fin troppo consapevoli. Riusciva a vedere dal modo in cui si ponevano nei suoi confronti che non avrebbero mai pensato che tutto quello che faceva, dal giocare con loro al fare le feste quando li incontrava dopo tanto tempo, fosse tutto un trucco che utilizzava per i propri interessi. Pochi minuscoli sacrifici che servivano a farsi accudire come fosse un bambino, e tutto perché non ritenevano fosse in grado di mentire.
Qualche eccezione c’era sicuramente, bisognava dirlo. Tony, per esempio, aveva sempre mostrato diffidenza nei suoi confronti e sembrava sempre alquanto distaccato. Si ritrovò a chiedersi che fine avesse fatto. Aveva sentito distintamente la sua voce e l’odore del suo sangue, quando era iniziato a piovere. Quell’odore era particolarmente intenso e pungente, ma dopo qualche ora l’acqua lo aveva semplicemente lavato via. Da allora non lo aveva più visto, né sentito. Pensandoci su, a giudicare da quanto era forte quell’odore, probabilmente era morto dissanguato.
Quel giorno la mattinata passò velocemente. Raider notò un minimo di movimento soltanto quando Marley salì al piano di sopra a svegliare le altre persone, e in particolare vide che il giovane umano sembrava particolarmente a disagio. Poi nulla, le persone semplicemente si erano sedute in silenzio, scambiandosi qualche occhiata fugace, come se stessero aspettando qualcosa. Il cane, dal canto suo, non poteva sperare in meglio. Più rimanevano zitti e tranquilli, più lui poteva starsene steso a riposare. Ben presto fu ora di pranzo, e a quel punto alcuni di loro si alzarono a prendere qualcosa da mangiare, ancora in religioso silenzio. Dante e Ulisse, a un certo punto, lasciarono la stanza e si misero sotto quello che era rimasto del gazebo. Le ore passarono così, in una tranquilla e uggiosa giornata.
Solo dopo un bel po’ sentì rumori provenire dalla stanza di Cesare, dove ora si era posizionato Cicerone. Qualche minuto dopo il giovane uscì, e sembrava stranamente pieno di energie. Parlava con un tono molto alto e la gente sembrava al contempo infastidita ed impaurita da lui. Si avvicinò a Marley ed Adam velocemente, quasi correndo, e continuò a parlare a voce alta, indicando gli altri umani nel bar. Adam era l’unico a rispondergli tranquillamente, mentre Marley rimaneva un po’ in disparte, e il cane non potè fare a meno di notare che il suo atteggiamento nei suoi confronti era veramente cambiato, quasi come se si sentisse tradito. Raider rimase a guardare quella scena, ancora steso ai piedi di Beth, che evidentemente sentiva un’enorme rabbia dentro di sé. Lo sentiva nell’aria il suo nervosismo, ma sarebbe bastato notare che le carezze si erano fermate, e che piano piano la presa su di lui si stava facendo più forte. Spazientito, Raider si alzò e fece per allontanarsi, quando sentì nuovamente la porta dell’ufficio di Cesare aprirsi, facendo passare Lucrezia, che subito gli lanciò un’occhiataccia. Lui digrignò i denti in tutta risposta, e tornò vicino a Beth, che iniziò a discutere con la nuova arrivata. La discussione fu troncata dall’arrivo di Cicerone che, con quel tono sempre molto alto ed euforico, abbracciò Lucrezia, soffocando le sue parole con le sue labbra. Quindi chiamò a gran voce le altre donne del bar, entrando con loro nella dispensa. Raider a quel punto si alzò e se ne andò fuori, raggiungendo Dante e Ulisse, che se ne stavano in disparte come al solito.
C’era qualcosa di strano in loro che non sapeva spiegarsi. Gli altri esseri umani, da quando era cominciata quella storia, erano particolarmente umorali. Sembravano sempre sull’orlo di una crisi di nervi e, salvo pochi momenti, urlavano sempre e si davano addosso l’un l’altro. Loro due invece erano sempre tranquilli, come se quella situazione non li toccasse. In particolare lo incuriosiva Ulisse. Da quando stava al bar lo aveva trovato lì ogni giorno, seduto nello stesso posto, con un odore pungente di alcol addosso, eppure non era mai stato avvicinato da nessun altro essere umano. Sembrava essere un emarginato, e in questo si sentiva in un certo senso vicino a lui. A volte lo aveva visto anche in mezzo alla strada, forse qualche volta aveva anche ricevuto del cibo da parte sua. Eppure c’era qualcosa di strano in lui, qualcosa che non riusciva a capire, per cui Raider non riusciva a fidarsi di quello che mostrava. Delle persone lì sotto lui era l’unico che sembrava nascondere qualcosa di grosso.
Rimase là sotto con i due compagni per un paio d'ore, mentre  le persone dentro al bar erano ritornate ad una triste nullafacenza. Ad un certo punto gli arrivò al naso lo stesso fetore di umori che aveva sentito quella notte, proveniente con ogni probabilità ancora dall'ufficio di Cesare, ma sentiva anche altro, in particolare uno strano profumo di caramello, che lo lasciava perplesso per il contrasto che faceva, a cui si aggiungeva anche un altro odore, che non riusciva a riconoscere. Annusandolo, iniziò a ricordare di averlo già sentito altrove. Ci volle qualche secondo per ricordarsi che era lo stesso odore che aveva annusato qualche volta sulle mani di Tony, in particolare il giorno che era incominciata la pioggia. Non aveva la più pallida idea di cosa potesse essere, e la cosa lo incuriosì.
Si alzò quindi, entrando nuovamente nel bar, ma riuscì solamente ad avere la certezza che veniva dal retro, perché quando provò ad aprire la porta si rese conto che era bloccata. Annoiato, fece per tornare , quando la porta si aprì nuovamente, facendo uscire Cicerone, con l’aria un po’ sconvolta, che urlò qualcosa alle persone del bar, facendole lentamente accorrere. Indicò qualche volta verso la dispensa, stavolta con un’aria seria, ma continuando a conservare il tono stranamente alto, e mentre parlava notò che le altre persone sembravano reagire alle sue parole con preoccupazione. Un paio di persone, in particolare, cercarono di parlare con Cicerone, confusi, ma dopo un po’ l’assemblea si chiuse, lasciando dipinta sul volto di tutti, compresa Beth, un’aria stranamente preoccupata. Notò che Marley provò ad avvicinarsi a Beth, dicendole qualche parola, ma la ragazza affondò semplicemente il volto nelle mani, e Raider riusciva chiaramente a sentire lo stress che stava provando. A quel punto Marley ci rinunciò, tornando a sedere in un angolo del bar. Da quando Cicerone era salito al potere e si trastullava con Lucrezia, notò il cane, Marley era rimasto solo.
Ben presto arrivò la sera, e Beth gli riempì nuovamente la ciotola. Avvicinandosi Raider notò, con disappunto, che la razione era visibilmente diminuita. Ciononostante la trangugiò in pochi secondi, quando improvvisamente si sentì addosso lo sguardo di Lucrezia. La ragazza era uscita per cena con Cicerone, e sedevano tutti ad un tavolo al centro del bar, allestito rapidamente. Quando vide il cane che mangiava, l’adrenalina iniziò a scorrerle in circolo, e questo fece risuonare un campanello d’allarme nella testa di Raider. All’istante la donna iniziò ad alzare la voce, indicandolo in modo minaccioso. Beth, di tutta risposta, le urlò contro, e iniziarono a discutere, un’altra di quelle discussioni che servivano solo a scaldare l’ambiente. In pochi secondi iniziarono a darsi addosso l’un l’altro, con Adam ed Eva che sembravano spalleggiare Lucrezia, che continuava a lanciargli degli sguardi infastiditi. A quel punto Cesare, che era stato in silenzio e in disparte per tutta la giornata, sembrò improvvisamente svegliarsi, frapponendosi tra Beth e gli altri che le urlavano contro in modo minaccioso. Lucrezia sembrò quasi oltraggiata da quel modo di fare, e la situazione stava degenerando. Raider, innervosito, iniziò ad abbaiare furiosamente, come per cercare di farli smettere. Lucrezia sembrò irritata dai suoi versi e fece per avvicinarsi, come per dargli un calcio, ma venne fermata da Beth, che la spintonò, facendola quasi cadere a terra. A quel punto Cicerone alzò la voce, e tutti, a quel punto, tornarono a sedersi. Quindi il giovane iniziò un suo discorso, con la gente che lo ascoltava attentamente e Beth che sembrava sempre più nervosa dopo ogni parola. Anche Dante e Ulisse, che se ne stavano sempre per conto loro, sembravano palesemente infastiditi da tutta quella situazione. Lo scrittore, in particolare, stringeva la spalla di Beth, cercando di calmarla, e Raider non potè fare a meno di notare che probabilmente quella era la prima volta che quei due prendevano una posizione. Ma soprattutto notò un preoccupante ripetersi, per tutta la durata della discussione, del suo nome, e non ci volle molto per capire che tutto quello scompiglio aveva a che fare con lui. Immagini della sua vita nella villetta in città iniziarono a palesarsi davanti ai suoi occhi quando vide le mani di Lucrezia, Cicerone, Adam, Eva e Maria alzarsi. Lo sguardo di Cicerone quindi corse minaccioso su Marley, che però sembrava voler rimanere fuori dalla questione ed era visibilmente a disagio. A quel punto Adam si alzò spazientito, dirigendosi verso Raider. Beth provò ad intromettersi, ma l’uomo la scostò in malo modo, allungando una mano verso il collare del cane. Lui, per tutta risposta, gli diede un morso, facendolo arretrare urlando. Aveva capito perfettamente di cosa stavano parlando. Lo aveva già visto, e se anche non fosse bastato averlo provato sulla sua pelle, aveva vissuto abbastanza tra gli esseri umani per capire quando volevano allontanarlo. Ma stavolta non gli avrebbe permesso di decidere per lui. Fanculo a loro, fanculo a quel bar maledetto, fanculo alla loro paura irrazionale e ai loro continui darsi addosso l’un l’altro. Non sarebbe rimasto là dentro un minuto di più.
E così, prima che Adam riuscisse ad alzarsi per inseguirlo infuriato, Raider si girò e iniziò a correre, diretto verso l’ingresso del bar. Uscì fuori dalla copertura del gazebo, sentendo le gocce fresche che gli carezzavano la pelle, e continuò la sua corsa, illeso, sparendo dalla vista degli abitanti del Medusa Café oltre un muro di acqua.

"Ma come diavolo."
"Non è possibile. Non gli è successo niente. Stiamo qua, rintanati come topi da dieci giorni e un cane esce come se niente fosse?"
"Qualcosa non quadra, forse-"
"Ragazzi, e se semplicemente la maledizione fosse finita? Magari ora possiamo uscire tranquillamente."
"Non è il caso di correre troppo, Marley, ci sono troppe cose che non quadrano. Non possiamo permetterci di fare la fine di Tony. In fondo, se fosse tutto a posto, non vi sembra strano che la gente ancora non sia uscita?
"Ma-"
“E, pensandoci, non mi pare di aver mai sentito di un cane che sia rimasto ucciso dalla pioggia. Nono so, la faccenda della pioggia già è assurda… sinceramente non mi stupirebbe più di tanto, ormai, se si scoprisse che quest’acqua è mortale solo per gli esseri umani."
"Dante ha ragione, quello che è appena successo non significa niente. E dubito che qualcuno di noi voglia tentare la sorte."
"Quindi che cosa consigli di fare, Beth? Rimanere qui sotto terrorizzati aspettando il momento che il cibo non basterà per tutti? Hai sentito Cicerone che cosa ha detto, no? Non dureremo ancora a lungo."
"Allora vuoi essere tu il primo a buttarti sotto l'acqua? Se hai voglia di rischiare fa' pure, ma credo ci possano venire in mente idee migliori di questa."
"..."
"Non vedo il motivo per avere tutta questa fretta. La notte porta consiglio, e penso sia più utile rifletterci un po' su, piuttosto che essere avventati. E poi sicuramente ora non ne caveremmo un ragno dal buco. Andiamo, Lucrezia.
"Aspetta Cicerone, non possiamo-"
"Lasciali andare, Beth, non credo ci sarebbero stati di aiuto."
"Sì, però-"
"Maledizione, quel dannato cane mi ha aperto una mano. E se avesse avuto la rabbia? Mi chiedo perché abbiamo aspettato così tanto per decidere di cacciarlo."
"Prima di tutto Raider non era rabbioso, ha solo reagito di conseguenza, visto che qualcuno aveva deciso di usare le maniere forti. E poi non avevamo ancora deciso nulla, maledizione. La votazione non era ancora conclusa, chi ti ha dato il diritto di-"
"Ah, ma piantala, Dante. Era l'unica cosa sensata da fare in quella situazione, e non avrei permesso che la mia famiglia morisse di fame per un sacco di pulci che si è reso utile solamente andandosene. E se voi non avevate il coraggio di fare quel che andava fatto, tanto valeva agire per conto mio. Perlomeno ora avremo una bocca in meno da sfamare."
"Bah."
"In ogni caso penso sia inutile discuterne ora. Io entro dentro, che sono a pezzi. Vi lascio alle vostre chiacchiere."
"Veniamo anche noi. Questi ultimi avvenimenti...ci hanno lasciato un po' stordite. Meglio dormirci un po' su. Buonanotte, ragazzi."
"'Notte, Maria. E Madeleine… cerca di riposare un po’ stanotte, e pensa a quello che ci siamo detti."
“Sì...sì, certamente. Buonanotte, Lancelot”
"Voi cosa pensate di fare?"
"Sinceramente, Beth, non so cosa pensare. Continuo ad essere dubbioso. Come ha detto Dante, non è possibile che nessuno si sia accorto che la pioggia non uccide più, ma è anche vero che quel cane ci ha sbattuto in faccia un bel dubbio. Personalmente, non so che pesci prendere.”
“Quindi cosa dovremmo fare? Dovremmo stare qui, con le mani in mano, ad aspettare chissà cosa?”
“Lo so, suona male anche a me, però rifletti, quali alternative abbiamo? Vogliamo seriamente tentare la sorte e gettarci sotto la pioggia? Te lo ripeto, sono il primo a non esserne convinto, ma purtroppo devi convenire che questa sembra l’unica soluzione razionale al momento, non credi?
"Sì, scusami... forse hai ragione tu, Lancelot. Forse è veramente la cosa migliore da fare. Magari tra un paio di giorni la pioggia finirà, o qualcuno verrà a prenderci. Sinceramente non so neanche in cosa sperare...so soltanto che al momento siamo ancora intrappolati. E non so quanto dureremo."

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