lunedì 27 aprile 2015

Medusa Café, capitolo 13 -
Piove sul bagnato


-Giorni prima-
Ormai Ulisse non ricordava neanche più quante volte si fosse ritrovato in quella stessa, identica posizione. Se ne stava lì, sulla sedia all'angolo del gazebo, con le spalle poggiate al muro e il bicchiere leggermente sollevato di fronte ai suoi occhi, pieno di un liquido color ambra al centro del quale sembrava galleggiare il bulbo luminoso emesso dalla lampadina del lampione posto poco fuori dal gazebo.  L’unica differenza era che quel lampione, fin dal primo giorno dall’inizio del diluvio, era rimasto spento, lasciandolo completamente al buio, immerso nei suoi pensieri.
“Ci avrei scommesso che ti avrei trovato qui.”
Ulisse mosse lentamente lo sguardo sulla figura di Dante, che si avvicinava a lenti passi, tenendo stretta in mano l’agendina che portava sempre con sé. Il vecchio mendicante sorrise divertito. “Non è un po’ tardi per cercare l’ispirazione, Hemingway?” gli disse ridendo sotto i baffi e continuando a sorseggiare il suo drink. “Fammi una sigaretta, va'.”
“Generalmente ti risponderei che non è mai troppo tardi” replicò lui, sedendosi al suo fianco e iniziando ad ammassare pagliuzze di tabacco sulla cartina, “ma stasera non avrei avuto la forza di mettere la penna su carta neanche volendo. Cesare sembrava caduto in catalessi, e la situazione sembrava poter esplodere da un momento all’altro. Veramente, non potevi scegliere un momento migliore per andartene.”
“Oh, credimi, lo so bene.” gli rispose Ulisse con un sospiro. Chiuse gli occhi infastidito, lasciando il bicchiere mezzo pieno sul tavolino di fronte a lui e iniziando a massaggiarsi la fronte. “Ti sei mai chiesto quand’è che si concentreranno sul vero problema, lì dentro?”

martedì 14 aprile 2015

Medusa Café, capitolo 12 -
Non può piovere per sempre

-Mercoledì, giorno 12-


Non finirà mai. Lucrezia non poteva pensare altrimenti. Aveva passato la notte insonne, le mancava il respiro e aveva il groppo alla gola. Ormai stava piangendo sommessamente dal giorno prima, anche se durante notte il suo lamento si era spento gradualmente. Era a causa della pioggia. Dopo dodici giorni Lucrezia aveva finalmente aperto gli occhi, e si era resa conto di essere in trappola. Dopo dodici giorni la pioggia iniziò a farsi sentire nella sua testa, come se le avesse sussurrato, ehi Lucrezia, io sono sempre stata qui. Quel sussurro l’aveva spenta, ma le lacrime continuavano a cadere senza controllo, proprio come la pioggia. Non si era mossa di un centimetro dal divanetto sul quale si era rannicchiata la sera prima. La mattina dopo alcuni di loro tra cui Cesare, Margaret e Dante si erano mossi per fare colazione, decidendo di dividersi un pacchetto di biscotti da sei. Dante l’aveva notata, mentre gli altri la ignoravano completamente. Le si avvicinò con una tazza di caffè e una metà del suo biscotto alla vaniglia. Le parole consolatorie dell’uomo le scivolarono addosso: aveva la nausea e per qualche motivo sapeva che se Dante si ritrovava costretto a dividere un biscotto con lei era soltanto per colpa sua e di Cicerone. Dante era una brava persona, mentre una persona disgustosa come lei doveva almeno avere la decenza di farsi contorcere le interiora e corrodere lo stomaco dagli acidi per ripagare anche soltanto il gesto di donare un biscotto già morso. Infatti Lucrezia rifiutò la colazione rannicchiandosi nuovamente sul divanetto, come se volesse chiudersi il più possibile in un immaginario involucro protettivo. Che si fotta da sola, ha mangiato abbastanza a nostre spese, disse qualcuno. Poco contava chi fosse stato, non era forse la verità?

venerdì 3 aprile 2015

Medusa Café, capitolo 11 - Ben venga il caos


-Martedì, giorno 11-
Madeleine faceva spesso confusione quando sognava: si muoveva in un luogo ma dentro di sé sapeva di trovarsi altrove, parlava con le persone ma i volti non rispettavano le identità. Spesso parlava con quella che aveva l’aspetto di una donna con le braccia coperte di tagli, stesa su un pavimento bianco in una pozza di sangue, ma lei sapeva che in realtà era un’altra persona. Qualche settimana prima aveva sognato che quella donna era padre Simon, spesso sognava che era Maria, e quel luogo che sembrava un bagno in realtà era una chiesa, a volte un negozio, a volte casa sua. Non sempre l’aspetto corrispondeva alla realtà, e sapeva che era una cosa comune a molte persone.
Era mattina, e Madeleine camminava in silenzio nel Medusa Café, impugnando un coltello. Eppure lei sapeva che nulla di tutto ciò era vero, in realtà si trovava nel deserto in cui Satana tentò Gesù, impugnando la lancia dell’arcangelo Michele. I suoi passi non facevano rumore mentre seguiva il demonio, e lui non la sentì avvicinarsi finché non fu a pochi centimetri da lui. Il demonio si voltò verso di lei nel tentativo di ingannarla, assumendo il volto di un uomo, sì, ma di un uomo malvagio.
“Buongiorno, Madeleine, tutto bene? Cosa fai con quel-”
Non sarebbe caduta nella sua trappola di tentazione, non lo avrebbe lasciato parlare. Madeleine conficcò la lancia nello sterno del demonio e lo guardò spalancare i suoi occhi di fuoco, emettendo un grido strozzato. Le mani le tremavano per l’eccitazione e per la paura, il suo intero corpo tremava di un’estasi mistica mentre liberava la terra dal peccato e gli uomini tutti dalla prigonia della pioggia di sangue. Nel sogno, Madeleine aveva colpito Adam al petto sette volte con un coltello, nel bagno del Medusa Café. Nella realtà, aveva trafitto Satana nel deserto. Guardò attraverso la piccola finestra del bagno, e vide il sole splendere. La sua fede era stata messa a dura prova, ma lei non aveva vacillato. Era stata brava. Guardò ancora quel corpo macellato e decise che era il momento di portare a tutti la buona notizia. Uscì dalla grotta, ancora impugnando la lancia, e vide un uomo venirle incontro.