domenica 8 marzo 2015

Medusa Café, capitolo 9 -
Funny Games



-Domenica, giorno 9-

Se solo Marley non fosse stato così ingordo la vigilia del suo primo giorno di scuola, adesso non sarebbe Marley. Tutto accadde molti anni prima quando lui aveva iniziato da qualche giorno a ritenersi “grande”.  Marley aveva scoperto che un vero uomo, quando faceva la pipì nella tazza, doveva appoggiare il palmo della mano sulla parete del muro e sospirare rumorosamente per la liberazione. Qualche giorno prima c’era riuscito, quindi adesso si poteva considerare a tutti gli effetti “grande”.  Quando ormai tutti i familiari erano a letto, si infilò in cucina e svuotò una confezione da sei di gelati in meno di settantotto secondi. Il giorno dopo, alle 7:45, la madre batté forte i pugni contro la porta del bagno, e gli disse che non avrebbe potuto saltare il primo giorno di scuola. Marley però aveva davvero la diarrea quella mattina, ma avendo paura che la madre avrebbe buttato da un momento all’altro giù la porta si decise ad uscire. Se ne avesse avuto bisogno, avrebbe utilizzato i bagni della scuola. Tanto ormai era “grande”. Ovviamente Marley fu l’ultimo ad entrare in classe e fu costretto a sedersi vicino ad Alex, un mingherlino con degli occhiali a fondo di bottiglia e gli incisivi sporgenti, che quando lo vide avvicinarsi per prendere posto gli riservò uno sguardo di terrore. Gli altri bambini risero e li presero in giro per tutta la giornata, anche perché Marley andava continuamente in bagno. Questo fu solo l’inizio di una lunga serie di sopraffazioni che nel tempo lo convinsero che il suo compito era stare con quelli strani per resistere e fare gruppo contro i bulli. Finché i bulli non divennero i figli di papà mentre lui uno di quelli che indossava jeans stracciati e fumava marijuana. Finché non capì che il discorso era politico e che il problema erano i ricchi e potenti, quindi iniziò a frequentare i centri sociali per diffondere e condividere idee pure sul bene sociale. Finché non si ritrovò a perdere tempo in un bar da quattro soldi e a doverci rimanere probabilmente per sempre.

Se solo Marley non avesse mangiato quei gelati, non sarebbe diventato niente di tutto questo e probabilmente non avrebbe dovuto giocare ad “Obbligo o verità” con degli sconosciuti, ma sarebbe stato altrove.
Cicerone, verità.
Cicerone quella mattina era uscito particolarmente attivo dal suo nuovo ufficio. Ormai c’era un ordine gerarchico per la sveglia. Il primo era lui, subito dopo si dovevano svegliare Adam e Marley, che dovevano occuparsi di svegliare gli altri. Marley non sapeva come, ma lentamente era diventato un ingranaggio di un sistema che pareva funzionare. Anche se l’idea di svegliarsi presto la digeriva ancora male.
“Dobbiamo fare qualcosa, altrimenti impazziamo, non funziona neanche più la radio”, era quello che aveva ripetuto almeno cinque volte Cicerone quella mattina. Marley notava l’amico non fermarsi un secondo e andare avanti e indietro, stavano facendo colazione quando Cicerone fu invitato da tutti a fermarsi un attimo, ma lui rispose che doveva pensare a cosa fare. Furono fatte le pulizie. Finalmente i turni venivano rispettati. La mattina passò velocemente, e fu dopo pranzo che Cicerone ebbe l’illuminazione: “ Facciamo un gioco”, disse entusiasta. Alcuni risero, Cesare ormai non si esprimeva più, pareva indifferente a tutto. Beth sembrava iniziare a sentire la solitudine, ne diceva sempre una contro Cicerone, ma ormai era abbandonata da tutti. Avrebbero messo in palio delle bottiglie di alcolici, che per l’occasione iniziarono a girare tra tutti. Già prima dell’inizio del gioco fu scolata una bottiglia di vodka.
“Inizio io, uno di voi mi faccia la domanda” disse Cicerone.
Lucrezia sorrise: “Obbligo o ver-“. Beth si intromise: “Se permettete voglio farla io la domanda.”
Calò il silenzio. Lucrezia arrossì e le sue labbra sembravano meno piene del solito. Marley si rese conto che Beth stava tirando un po’ troppo la corda negli ultimi giorni. Cicerone ruppe il silenzio con una voce forzatamente gentile: “Oh sì, ti prego Beth sarei davvero lusingato se partecipassi al gioco.”
“Certo non sarai tu a darmi il consenso di giocare.”
“Su, Beth. Sto aspettando, gioca.”
“Obbligo o verità?”
“La regina delle cucine mi fa un po’ paura” disse per poi ridacchiare Cicerone, “forse mi conviene scegliere verità.”
Beth bevve il suo quarto bicchierino di vodka gelata. La seguì Lancelot che invogliò Lucrezia, Ulisse e Eva ad a buttare giù velocemente. Anche Marley lì seguì, era il suo terzo bicchierino. Tutti e quattro dopo aver bevuto lo batterono sulla tavola.
“Fa’ poco lo spiritoso. Sentiamo, hai mai fatto uso di droghe pesanti?” gli disse con un sorriso provocatorio disegnato in faccia.
Cicerone esitò. Marley pensò a tutte le volte che lo invitava a fumare con lui ed erano pochissime le volte che partecipava.
“No, il massimo che ho fatto è fumare qualche canna con Marley” rispose secco Cicerone.
“E figurati” disse sarcastica Beth per poi riempire di nuovo i bicchierini. Ne alzò uno per proporre un brindisi: “alla tua, uomo senza macchie”.
Lucrezia che era seduta vicino a Cicerone lo guardava diversamente da quando era diventato il punto di riferimento di tutti. Sembrava essere costantemente sul punto di saltargli addosso. Marley era contento che le cose andassero finalmente bene, ma sentiva il suo amico sempre più distante. Stava diventando un’altra persona.

Se Cicerone avesse avuto il coraggio di dichiarare i suoi sentimenti a F. quando aveva dodici anni, probabilmente non sarebbe diventato un dittatore. Sarebbe bastato darle quel cestino di conchiglie. Probabilmente lei ne sarebbe stata lusingata e lui avrebbe conosciuto l’amore prima di tutti i suoi coetanei. Si sarebbero sfiorati la mano e avrebbero sentito un brivido tenero e apparentemente eterno. Avrebbero saltato la scuola con altri amici per andare a prendere il sole al parco, fumato sigarette e scattato foto indossando degli occhiali da sole, che nel tempo sarebbero diventati d’epoca. Ad un certo punto, quel sentimento si sarebbe esaurito dalla parte di uno dei due, o peggio, si sarebbero odiati fino al punto di tradirsi. Cicerone avrebbe rimpianto il momento in cui, qualche anno prima, si era azzardato a regalarle quel cestino di conchiglie. Così almeno non avrebbe pianto ogni notte senza lacrime sentendosi evirato. Non avrebbe perso sei chili in una settimana, non si sarebbe sentito una nullità. Eppure un giorno si sarebbe innamorato di nuovo, e avrebbe ricordato F. e l’importanza che aveva avuto facendogli scoprire l’innamoramento e tutte quelle cose da adolescenti. Probabilmente se anche fosse entrato con Marley nel Medusa Café, non avrebbe avuto tanta presunzione e bisogno di comandare. Sarebbe stato troppo preoccupato per la sua ragazza, avrebbe avuto una stretta allo stomaco che di giorno in giorno lo avrebbero spinto solo ad aiutare la gente che ormai era costretta a vivere in quel posto. Tutto questo sarebbe potuto succedere, ma non era successo, perché Marley lo sapeva, l’aveva visto. Quel cestino di conchiglie era da più di dieci anni abbandonato su una mensola  a casa di Cicerone. Ancora chiuso in un involucro di plastica, come se non avesse avuto la possibilità di conoscere il mondo. Proprio come Cicerone non ha potuto conoscere l’amore.

Cesare, obbligo.
Cicerone fissava Cesare da una trentina di secondi. Il suo sguardo seguiva la stessa retta immaginaria che disegnava la bottiglia puntata verso il gestore del bar.
“Mi dispiace avervi fatto aspettare tanto. Cesare è stato coraggioso, nessuno sceglie mai obbligo. Ora ci divertiamo un po’” disse il giovane in maniera sconclusionata. Erano tutti, chi più, chi meno, ubriachi.
“Cesare, pensavo che”. Si interruppe e trattenne una risata, per poi riprendere a dire: “Pensavo che dovresti toccare l’uccello di Lancelot”.
Cesare alzò lo sguardo e infuocato dalla rabbia fissò Cicerone. Gli altri si guardarono  intorno, alcuni risero, altri borbottarono qualcosa.
“Tu sei fuori di testa” gli rispose Cesare.
“È un gioco Cesare, non fare sempre così”.
“Penso di avere diritto ad esprimere un parere, visto che l’organo in questione è il mio” disse Lancelot intromettendosi .
Adam e Lucrezia scoppiarono a ridere. Marley iniziava a provare sentimenti contrastanti. La situazione era comica, ma aveva delle sfumature di disagio. Beth era completamente ubriaca e chissà come riusciva a tenere gli occhi aperti, ma riuscì a borbottare un’imprecazione.
Cesare si voltò verso Lancelot e gli disse con calma: “Non c’è pericolo, non farò una cosa così infantile per far divertire un ragazzino montato”.
“Sei sempre il solito guastafeste” gli disse Cicerone.
“Che noia”, affermò aspra Lucrezia prendendo una bottiglia di whiskey e versandone un goccio in ogni bicchierino.
“E va bene. Allora Cesare se non vuoi eseguire l’obbligo” proferì Cicerone buttando giù il whiskey, “…  che porcheria il whiskey caldo, Lucrezia. Potevi aggiungere un po’ di ghiaccio, cazzo”. Lucrezia si adombrò. Sembrava mortificata, ma non rispose a Cicerone.
Il giovane leader continuò dicendo: “Se non vuoi eseguire l’obbligo, ti pongo una domanda”.
Cesare accettò rispondendo con occhi spenti.
Cicerone si alzò e corse nello studio. Qualche secondo dopo tornò mantenendo il laptop acceso con una mano, e digitando qualcosa sulla tastiera con l’altra. Riprese posto e poggiò il computer sulle gambe.
“Ecco, mi chiedevo quali problemi potessi avere a toccare un pene, dal momento che il tuo computer è pieno di video porno gay”, proferì ridendo tra sé e sé. Lucrezia subito allungò il collo per vedere cosa avesse trovato Cicerone. Adam si alzò per andare a verificare, ma prima che potesse arrivare vicino a Cicerone, quest’ultimo aveva voltato lo schermo verso gli altri giocatori. Lucrezia provò a trattenere una risata ma non la contenne, seguita da Adam e Marley. Proprio Marley non capiva come non riuscisse a trattenersi dal ridere su una cosa così stupida, eppure lo stava facendo. Eva trattenne per un po’ la risata, ma quando Lancelot sorrise, si lasciò andare. Gli altri risultavano infastiditi dal gioco di Cicerone. Cesare era moralmente sepolto sotto terra. I volti di Maria e Madeleine mostravano tutta la loro indignazione.
Beth si alzò e tirò via il computer portatile dalle mani di Cicerone, chiudendolo con rabbia. Infine disse: “Mi fai schifo”.

Se Beth avesse deciso di non lavorare il sabato mattina, ovvio, in quel momento non si sarebbe trovata al Medusa Café, ma in realtà la sua vita sarebbe andata in tutt’altro modo. Marley aveva saputo che Beth lavorava lì da circa otto anni. Questo vuol dire che in quegli otto anni, almeno l’ottanta per cento dei venerdì sera non aveva potuto fare tardi per poter aprire il bar la mattina del giorno dopo. Ecco, se uno di quei venerdì sera fosse uscita, sarebbe cambiato tutto. Se un venerdì di quattro anni prima lei avesse preso l’auto per andare in una discoteca in un posto dimenticato da Dio, percorrendo una strada che di notte ha un frequenza di una macchina ogni quindici minuti, e poi arrivata a destinazione, avesse preso un gin tonic e un tizio un po’ insistente le avesse aggiunto dell’ecstasy all’interno, avrebbe ballato e stimolato la sete e la sua voglia di tormentarsi perché era colpa sua se l’amore della sua vita l’aveva lasciata. Lei l’aveva tradito perché se vai a ballare ogni venerdì sera e sei costretta tra corpi caldi e musica avvolgente, non pensi più come un essere umano, sei solo un animale in calore che vuole sentire quel calore invadere ogni millimetro della tua pelle, e non te ne frega un cazzo, scopi ovunque, anche in un cesso pubblico. Se Beth avesse bevuto quel gin tonic corretto all’ecstasy e poi un altro e un altro ancora, alle sei di mattina di ritorno a casa completamente ubriaca, si sarebbe schiantata ad alta velocità contro un tir. Sarebbe morta sul colpo, lei con un’altra amica, mentre la terza sarebbe rimasta in coma per tutta la vita. Sì, molto probabilmente sarebbe andata così.

Adam, verità.
Marley fissava Beth e provava compassione. Le si era affezionato, ma non sapeva come dimostrarglielo. Lei, era palese, lo considerava niente di più che un chiacchierone, oltre che un servo di Cicerone. La situazione iniziava a diventare sempre più paradossale. Poco prima, Ulisse aveva chiesto ad Adam se fosse favorevole all’aborto, e quest’ultimo aveva risposto sì. Ne era seguita una discussione politica, senza né capo e né coda, specialmente per colpa dell’alcol. Maria si professò subito contraria, affermando che l’aborto non è nient’altro che un omicidio oltre che un affronto dell’essere umano sulla volontà di Dio. Ulisse in maniera gentile ripose alla donna che bisognava rispettare anche le convinzioni degli atei e che non si poteva farne solo un discorso religioso. Disse che un embrione inizia a formare il sistema nervoso soltanto dopo la quarta settimana e generalmente è giusto dare la possibilità alla donna di poter scegliere entro un periodo convenzionale di tre mesi. Lucrezia rise, e fece notare che molti ragazzini nonostante già abbiano le abilità per recitare in un film porno a dodici anni, non sono altrettanto informati sulla contraccezione. “Immaginate una ragazzina che si ritrova a fare sesso la prima volta per gioco con un altro suo coetaneo incapace, rimane incinta e lo tiene nascosto ai suoi genitori per paura. Lei non sa che può rivolgersi a un giudice, senza dire nulla ai suoi genitori. Nel frattempo i tre mesi di tempo sono scaduti, e si ritrova con il pancione.  Un bambino che diventerà praticamente il suo fratellino, perché lei non sarà capace di mantenerlo da sola. A chi diamo la colpa? Ad una ragazzina incosciente?” Marley rifletteva sull’eventualità che aveva posto Lucrezia, che risultava valida almeno quanto quella di Ulisse. Cicerone credeva che bisognasse seguire la legislazione attuale e cercare di potenziarla in prospettiva futura, rendendo possibile l’aborto per qualunque motivo senza dover rientrare in un periodo di tempo determinato come i tre mesi. Lui considerava  che non ricordava nulla di quando si trovava dentro il pancione della madre, quindi anche al nono mese non era altro che un pre-umano, totalmente dipendente dal corpo della madre. “Che diritto avrei, seppure fossi in grado di realizzare la mia volontà, di decidere?” disse il giovane. Adam intervenne raccontando che molti anni prima di conoscere Eva, andava a letto con una ragazza che rimase incinta di lui. Non erano neanche maggiorenni e non avrebbero potuto mantenere il bambino. L’aborto era ancora illegale, ma questo non impediva alle persone di farlo clandestinamente. La sua giovane compagna aveva paura, ma lui aveva ancora più paura di dover fare il padre a quell’età con una ragazza che probabilmente avrebbe lasciato entro qualche mese. Quindi iniziò a tormentarla finché non decise ad andare da un medico, o almeno uno che diceva di essere tale, che dava da mangiare alla famiglia così. Qualche settimana dopo quel giorno i due non si parlavano quasi più, quindi lei lo lasciò. Adam sospirò e aggiunse che un paio di anni prima l’aveva incontrata e che l’aveva salutato molto freddamente, tenendoci ad informarlo che lei, in seguito a quell’intervento, di figli non ne poteva più avere. Eva abbassò lo sguardo. Tutti si zittirono. “Non importa quanti e quali organi si formino prima di altri, a questo punto. Credo soltanto che nessuno si debba trovare costretto a fare una cosa del genere clandestinamente” concluse Adam. Madeleine dopo il racconto diede di matto. Si alzò e piangendo iniziò a mormorare qualcosa di incomprensibile andando avanti e indietro per la sala. Infine Maria la prese e la portò al piano di sopra a calmarsi. Marley iniziava a credere di star sognando.

Se l’anno prima dell’aborto che era stata costretta a fare la ex di Adam, il governo avesse approvato la legge che lo regolamentava, probabilmente Adam non si sarebbe trovato in quel momento al Medusa Café con sua moglie. In tutta probabilità la sua ex si sarebbe convinta ad abortire, ma l’avrebbe fatto legalmente in un ospedale, operata da un medico vero. Magari si sarebbero lasciati qualche settimana più tardi per altri motivi, e l’aborto sarebbe stato soltanto una delle altre mille problematiche che aveva il loro rapporto. Adam avrebbe conosciuto ugualmente Eva e avrebbe avuto lo stesso identico figlio che si ritrovavano adesso. Qualche anno prima di entrare nel Medusa Café, avrebbe incontrato la sua ex con una bambina non troppo piccola, e avrebbero preso un caffè, raccontandosi le loro rispettive vite. Si sarebbero incuriositi l’uno dell’altra, perché rivedere una persona dopo così tanti anni ha l’attrattiva di potersi ricredere nei confronti di quella persona. Si sarebbero visti per altri caffè per poi finire a scopare a pecorina, vestiti, sulla scrivania di Adam, mentre Eva, ignara di tutto era a fare qualche intervista a dei sindacalisti incazzati. Probabilmente quel sabato in cui tutto era iniziato al Medusa Café, Adam ci avrebbe portato la sua amante.

Beth, obbligo.
Marley si ritrovò improvvisamente con Beth che gli sussurrava parole irripetibili all’orecchio, mentre passava un’unghia sempre più in profondità nel collo, come fosse la lama di un coltello. Lei era a cavalcioni sulla gamba destra di Marley, ma nonostante la situazione i suoi occhi erano spenti. Marley, anche se era eccitato iniziava ad essere infastidito dalla situazione. Era stata tutta colpa di Lucrezia.
“Mi rifiuto di scegliere” aveva detto Beth secca aspirando da una sigaretta poche ore prima.
“Benissimo, scelgo io per te. Obbligo” disse Lucrezia.
“Lucrezia, stammi bene a sentire. Devi smetterla di fare la regina” le rispose.
Cicerone intervenne: “Beth smettila di lamentarti. Sei stata proprio tu ad iniziare il gioco facendo la domanda a me, non puoi tirarti indietro adesso”.
Beth rise fino a lacrimare, poi divenne seria e rispose: “D’accordo, dimmi che devo fare, Lucrezia. Sono ai tuoi ordini”.
Le labbra di Lucrezia si rinvigorirono e dopo essersi distese in un sorriso si aprirono per farla parlare: “Devi sedurre Marley”.
Beth rimase in silenzio per quasi un minuto, poi aspirò l’ultimo tiro e spense la sigaretta.
“Eseguo” disse la ragazza.
Adesso Beth era a cavalcioni sulla gamba di Marley. Dopo che Lucrezia le ordinò di leccargli l’orecchio, Marley iniziò a sentire la punta della lingua che si infilava lentamente nel padiglione auricolare. Finché non le fu ordinato di discendere e leccargli il collo. Cicerone e Lucrezia ridevano, mentre qualcun altro iniziava a spazientirsi. Altri guardavano impassibili come Lancelot e Eva, come se in quel momento non si trovassero nei loro corpi.
“Adesso voglio che lentamente gli sbottoni i pantaloni e controlli che lo abbia duro” proferì Lucrezia ridendo.
Beth sbottonò il primo di cinque bottoni, poi il secondo. Marley stava iniziando a rinsavire quindi allontanò la lingua di Beth dal suo collo e guardandola in viso si rese conto che era totalmente ubriaca. Maria, Madeleine, Ulisse, Cesare e Margaret erano andati via disgustati. Dante si alzò dalla sedia e intervenne: “Direi che è arrivato il momento di chiudere i giochi per oggi”.
Marley rinsavì completamente e guardando Dante gli rispose: “Ha ragione, basta Beth”.
“Siete davvero noiosi” disse infastidita Lucrezia dirigendosi al bagno.

Se Lucrezia non avesse deciso, nella sua totale capacità di intendere e di volere di prestarsi ad un’oggettificazione del suo corpo per i propri vantaggi, probabilmente non si sarebbe incattivita in questo modo. Marley sapeva com’era andata, perché lei era una come tante. Con la sfortuna di essere troppo più intelligente rispetto alla media. Probabilmente Lucrezia quando frequentava ancora la scuola, un giorno si era accorta che mostrando una bella scollatura e degli occhi arrendevoli al professore di arte, avrebbe guadagnato almeno un paio di punti in più. Quei punti che le spettavano di diritto per le sue capacità e conoscenze, se solo avesse avuto un professore che premiasse il merito e non il sex appeal. Lei aveva bisogno di avere sempre il massimo, perché era quello che meritava, e se in cambio doveva illudere un mondo maschilista che lei era poco più di un oggetto, l’avrebbe fatto. Probabilmente crescendo aveva capito che doveva studiare i porno per essere apprezzata a letto, probabilmente aveva iniziato a fare la modella di intimi e chissà cosa aveva dovuto fare per essere scelta, probabilmente aveva iniziato a spogliarsi in webcam, che era un modo perfetto per guadagnare senza essere toccata neanche con un dito. Se solo avesse accettato che questo mondo è ingiusto, probabilmente in quei giorni non sarebbe stata così incattivita. E soprattutto non sarebbe diventata una barbie tra le mani di Cicerone.

Marley era confuso. Quella giornata sembrava essere passata troppo velocemente e l’alcol e il malumore avevano diffuso un’atmosfera negativa nel bar. Molti si erano messi a letto senza neanche cenare, erano disgustati dall’alcol e dai risvolti del gioco che aveva deciso di fare Cicerone. Non lo riconosceva più come suo amico, ormai era lontano anni luce da lui. Il silenzio era calato nel bar e tutti si erano messi sui propri divanetti. Marley scorse in lontananza Lucrezia che si sporgeva sul collo di Cicerone per dirgli o fare qualcosa, e seguirono delle risate dei due giovani. Cicerone zittì la ragazza e la trascinò nell’ufficio sbattendo forte la porta. Più tardi Marley iniziò a sentire un rumore di qualcosa che urtava ritmicamente contro la parete adiacente alla porta dell’ufficio. Qualche secondo dopo capì, da gemiti di piacere urlati e soffocati che Cicerone e Lucrezia se la stavano spassando, mentre tutti gli altri provavano a dormire. Quei gemiti erano interrotti solo da risate. Quando l’ultimo gemito di Cicerone lasciò il bar nel silenzio, Marley capì che qualcosa si era rotto tra lui e l’amico, tra tutti gli abitanti del Medusa Café. In quel momento avrebbe solo voluto dormire e smettere di pensare che il mondo era ingiusto e che bisognasse cambiarlo. Voleva solo stare con s
e stesso, nel mondo dei sogni.

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