-Giorni prima-
Ormai Ulisse non
ricordava neanche più quante volte si fosse ritrovato in quella stessa,
identica posizione. Se ne stava lì, sulla sedia all'angolo del gazebo, con le
spalle poggiate al muro e il bicchiere leggermente sollevato di fronte ai suoi
occhi, pieno di un liquido color ambra al centro del quale sembrava galleggiare
il bulbo luminoso emesso dalla lampadina del lampione posto poco fuori dal
gazebo. L’unica differenza era che quel lampione, fin dal primo giorno
dall’inizio del diluvio, era rimasto spento, lasciandolo completamente al buio,
immerso nei suoi pensieri.
“Ci avrei scommesso che
ti avrei trovato qui.”
Ulisse mosse lentamente
lo sguardo sulla figura di Dante, che si avvicinava a lenti passi, tenendo
stretta in mano l’agendina che portava sempre con sé. Il vecchio mendicante
sorrise divertito. “Non è un po’ tardi per cercare l’ispirazione, Hemingway?”
gli disse ridendo sotto i baffi e continuando a sorseggiare il suo drink.
“Fammi una sigaretta, va'.”
“Generalmente ti
risponderei che non è mai troppo tardi” replicò lui, sedendosi al suo fianco e
iniziando ad ammassare pagliuzze di tabacco sulla cartina, “ma stasera non
avrei avuto la forza di mettere la penna su carta neanche volendo. Cesare
sembrava caduto in catalessi, e la situazione sembrava poter esplodere da un
momento all’altro. Veramente, non potevi scegliere un momento migliore per
andartene.”
“Oh, credimi, lo so
bene.” gli rispose Ulisse con un sospiro. Chiuse gli occhi infastidito,
lasciando il bicchiere mezzo pieno sul tavolino di fronte a lui e iniziando a
massaggiarsi la fronte. “Ti sei mai chiesto quand’è che si concentreranno sul
vero problema, lì dentro?”
“Dipende cosa intendi
per serio” gli rispose Dante, leccando la cartina della sigaretta. “Toh, prendi
questa.”
“Grazie. Intendo dire
che siamo bloccati qui sotto da una settimana circa e la gente sta ancora
litigando su chi ce l’ha più lungo. Ti serve da accendere?” estrasse
l’accendino dalla tasca per porgerlo all’amico.
“Tranquillo, ho già
fatto. Stavi dicendo?”
“Perfetto. Dicevo...”
disse Ulisse, aspirando dalla sigaretta a pieni polmoni. Aprì gli occhi,
osservando le gocce di pioggia che cadevano di fronte a lui mentre soffiava via
il fumo dalla bocca. “Ti sei mai chiesto quand’è che inizieranno a chiedersi
che cazzo sta succedendo?”
“Con la pioggia,
intendi?” gli chiese Dante, riaccendendo la sigaretta. Fece una piccola risata,
scuotendo via la cenere. “Dai il tempo al cibo di scarseggiare e inizieranno a
chiederselo tutti.”
“Spero che tireranno
fuori qualcosa di più sensato rispetto a ciò che hanno pensato finora Maria e
Marley, allora” rispose Ulisse, ridacchiando a sua volta.
“Dici? Dai che la teoria
di Marley perlomeno era fantasiosa.”
“Quale, quella del
complotto mondiale che sta usando la pioggia nel tentativo di bloccare la
crescita demografica o quella delle entità extraterrestri che hanno evocato la
pioggia per poter girare indisturbate per il pianeta?”
“La seconda non me la
ricordavo” rispose Dante, scoppiando a ridere. “Ma ci crede veramente a quelle
fesserie?”
“Non me lo chiedere, a
volte credo che a voi giovani Internet ha fuso il cervello”.
Fece un’altra boccata
dalla sigaretta, rimanendo in silenzio, ad osservare il fumo che lentamente
volteggiava, salendo verso il telo del gazebo. Restò così per una decina di
secondi, mentre gli anelli di fumo si dilatavano, espandendosi fino ai bordi
del gazebo solo per essere falciati dalla pioggia incessante. Quindi sorrise,
gli occhi illuminati da una strana luce: "Seriamente, secondo te con cosa
se ne usciranno?"
"Prego?"
replicò Dante, spiazzato dall'improvvisa domanda.
"Massì, dai, usiamo
l'immaginazione" gli disse lui, guardandolo con un'espressione intrigata
stampata sul volto. "Secondo te cosa arriveranno a pensare gli altri per
dare una spiegazione a questo inferno?"
Dante alzò lo sguardo,
dubbioso. "Eh... Così, su due piedi, mi cogli impreparato."
"Avanti, Dante, sei
tu lo scrittore tra i due. Non farti pregare."
"Beh..."
disse, osservando il furgoncino che rimaneva irraggiungibile sotto il diluvio
incessante, "nonostante tutto, credo che le idee più interessanti verranno
sicuramente a Margaret. Gli ultimi avvenimenti l'hanno sconvolta, ma ho
l'impressione che la sua mente sia l'unica che penserà a qualcosa di
verosimile. È il tipo di persona che non si arrende davanti a un
problema."
"Quindi secondo te
cosa penserà?"
"Mi chiedi
troppo" gli rispose lo scrittore, sorridendo, "ma credo che cercherà
di analizzare il contenuto dell'acqua, se non altro per cercare eventuali
contaminazioni."
"Sì, il
ragionamento fila" constatò Ulisse, annuendo sovrappensiero. Fece un altro
tiro di sigaretta, assaporandone il sapore silenziosamente. "Di Adam
invece che ne pensi?" chiese quindi, soffiando via il fumo dalla bocca.
"Adam?" ci
pensò su un paio di secondi. "Ti dirò, riflettendoci credo che-"
"Non sia il tipo
che si fa troppe domande" continuò Ulisse sghignazzando. "È troppo
pragmatico, troppo impulsivo, e più che cercare la causa del problema lo vedo
il tipo di persona che si focalizza su come risolverlo nel breve termine. Un
po' come Cesare, se ci pensi."
"Esatto, mi danno
l'idea che semplicemente penserebbero a come fare per evitare la pioggia.
Probabilmente cercheranno di trovare il modo di estendere la copertura del
gazebo, così da controllare se il furgone funziona. Insomma, qualcosa del
genere."
"Gli uomini di una
volta" aggiunse Ulisse, ridendo.
"Eva invece mi dà
l'idea di essere un'altra persona che si potrebbe interrogare sulla natura
della pioggia-"
"Su Eva non ci
conterei più di tanto, personalmente" lo interruppe a quel punto Ulisse,
facendosi serio in volto. "Quella donna si è trovata in una brutta
situazione qui sotto, non mi meraviglierei se esplodesse da un momento
all'altro."
"Poco, ma
sicuro" disse Dante, lo sguardo fisso di fronte a lui. "Si vede che
c’è qualcosa di strano tra lei e Lancelot. Mi chiedo come andrà a finire."
"Certo non si può
dire che non sia una situazione interessante." disse lui, ridendo,
"piuttosto, tu cosa ne pensi?"
"Io?" Dante si
alzò, pensieroso, appoggiandosi ad uno dei pilastri del gazebo e fissando il
vuoto. Lanciò quello che rimaneva della sua sigaretta fuori dal gazebo,
trattenendo l'ultimo tiro in bocca. Sospirò. "Personalmente non ho la più
pallida idea di come risponderti. Ho visto di fronte ai miei occhi un uomo che
veniva brutalmente massacrato da quelle che sembrano delle normalissime gocce
d'acqua, e ora ho il piede nella stessa medesima acqua ma sembra non succedermi
niente. La radio è morta, lasciandoci quasi senza alcuna speranza di un aiuto
dall'esterno, e improvvisamente tutto diventa ancora più reale. Ti confesso che
ho sperato fino all'ultimo che la pioggia se ne andasse così come era venuta,
dal nulla, ma è passata una settimana e siamo ancora chiusi qui dentro. Eppure
il gazebo non crolla sotto il peso di queste gocce in grado di schiacciare a
morte gli esseri umani, e non vedo il livello dell'acqua alzarsi, nonostante la
città sia vicina alla costa. Il mondo sembra essersi fermato, quasi come se
tutto quello che esiste ormai sia rinchiuso qui sotto."
Ulisse sorrise,
bofonchiando un sommesso già a denti stretti, quindi fece l'ultimo tiro di
sigaretta, lasciandola nella pozzanghera ai suoi piedi. "Andiamo ora, che
se tutto va bene riusciamo a farci un paio d'ore di sonno."
"Ehi, non mi hai
detto tu cosa pensi!" gli disse Dante infastidito, avvicinandosi a passo
veloce alla figura del vecchio mendicante, che di tutta risposta si limitò a
sghignazzare, attraversando la porta del Medusa Café.
-Giovedì mattina, giorno
13-
Gli inquietanti mormorii
e le imprecazioni sommesse emesse da Cicerone in preda ai dolori fecero quasi
trasalire Ulisse, distogliendolo dai suoi pensieri. Era rimasto vicino al
divanetto dove aveva posto il giovane per quasi due giorni, assistendolo dopo
che Marley lo aveva quasi ridotto a un cadavere, e per due giorni non aveva
dato segni di ripresa. Quelle nottate erano state infernali, e ad un certo
punto aveva avuto quasi paura che potesse morire da un momento all'altro. Il
fatto che finalmente avesse dato segni di vita era senza dubbio la migliore
notizia della giornata.
"Ben svegliato,
giovanotto" disse, prendendo la torcia e ispezionando gli occhi del
ragazzo.
"D-dove mi
trovo?"
"Non all'inferno,
ragazzo. Potrai ringraziarmi più tardi."
"Mi scoppia la
testa" disse Cicerone, la voce bassa. Provò a sollevare lentamente il
braccio, ma il dolore che lo prese al minimo movimento lo fece bestemmiare
sonoramente. Dall'altro lato della stanza, disse tra sé e sé Ulisse, qualcuno
si starà facendo il segno della croce. "Sei stato...sei stato tu a farmi
questa?” chiese Cicerone, indicando la vistosa fasciatura al braccio.
"Immagino che ti
dovrò aggiornare su un paio di questioni" rispose Ulisse, sbuffando mentre
controllava il polso. "Ora pensa a riposare, che stavi per lasciarci le
penne. Ne parliamo dopo."
Si alzò lentamente,
avvicinandosi al bordo delle scale.
"Vedo che
finalmente si è svegliato" disse improvvisamente una voce femminile.
Ulisse alzò lo sguardo e vide Beth che scendeva le scale, lo sguardo rivolto a
Cicerone che cercava inutilmente di girarsi. "Come sta messo?"
"In ripresa,
direi." disse lui, passandosi le mani sul volto. "Per fortuna al
momento è ancora innocuo. Sinceramente spero che non riacquisti le forze troppo
velocemente. Di sopra che si dice?"
"Probabilmente è il
caso che tu veda con i tuoi occhi" replicò lei, sorridendo ed esortandolo
a salire le scale. Il vecchio, incuriosito, la raggiunse al piano di sopra,
dove vide Marley con un foglio e una penna in mano seduto vicino a Margaret.
“Quindi pensi che
l’effetto serra non sia abbastanza per spiegare la lunga durata della pioggia?”
“Credimi, vorrei che lo
fosse” rispose l’insegnante, visibilmente provata, “ma, per quanto possa essere
grave la situazione, per quanto possa influenzare il ciclo dell’acqua, non
spiegherebbe come faccia la pioggia a durare ben tredici giorni. Considerando
che, probabilmente, sta piovendo in tutto il mondo, in tredici giorni potrebbe
essere caduto dal cielo l’intero quantitativo d’acqua del globo, ed è una cosa
impossibile.”
“Ma è anche quello che
sta succedendo.” aggiunse Marley, sbuffando irritato.
“Lo so, e la cosa mi sta
tormentando.”
“Tu sei proprio sicura
che la storia delle scie chimiche sia inverosimile, vero?”
“Te l’ho già spiegato,
sarebbe una teoria troppo assurda. Tralasciando la mole di lavoro che
servirebbe per mantenere segreta un’operazione del genere, ma anche solo i
venti di alta quota renderebbero lo spargimento di queste presunte sostanze
praticamente impossibile da controllare. Senza contare che-”
“Sì, ho capito, chiedevo
soltanto, giusto per sicurezza” tagliò corto lui, sovrappensiero. “Forse ci
dovremmo concentrare sul perché la pioggia uccida, non credi?”
“Ci ho già riflettuto”
rispose lei. “All’inizio mi era venuta in mente la possibilità che fosse un
meccanismo simile a quello responsabile della pioggia acida, ma-”
“La pioggia schiaccia,
non scioglie, già. Forse è contaminata da sostanze particolarmente pesanti? Non
so, potrebbe esserci disciolto del piombo, non credi?”
“Non ho mai sentito una
cosa del genere” rispose lei, con un tono quasi rassegnato, “e in ogni caso non
spiegherebbe perché una pioggia in grado di schiacciare un essere umano non
abbia assolutamente effetto sugli oggetti, a cominciare dal gazebo e dal
furgone.”
“Senza considerare il
cane” aggiunse lui, sbuffando. Lo sguardo corse sul volto della donna,
evidentemente affranta, quindi disse: “Non perdiamoci d’animo, Maggie,
troveremo una spiegazione.”
Ulisse, nel guardare la
scena, non potè nascondere un sorriso. Non lo aveva stupito tanto il fatto che
qualcuno finalmente si stesse interrogando sulla questione importante o che i
due andassero d’accordo, quanto che Marley sembrava essere uscito dal suo
guscio di convinzioni infantili, come se fosse maturato. Idea che trovava
riscontro subito dopo nelle parole di Beth , che gli riferirono come tutto
fosse stata proprio un’idea del ragazzo.
Sfortunatamente, notò il
vecchio, le cose non andavano bene a tutti lì sopra. Maria era piegata in un
angolo, gli occhi quasi spiritati, che girava compulsivamente un rosario tra le
mani e sussurrava parole in modo inquietante. Sembrava sull’orlo di una crisi
di pianto. Cesare, d’altro canto, non sembrava passarsela troppo meglio.
“Da quanto tempo sta
fermo così?” chiese Ulisse, osservando l’uomo appoggiato contro il vetro del
balcone con l’aria di chi si era rassegnato.
“L’ho trovato lì vicino
già stamattina” rispose Beth, leggermente preoccupata. “Ho provato a chiedergli
se gli servisse qualcosa, di tirarlo su, ma non è servito a niente. A quanto
pare è convinto che tutto questo non finirà mai.”
“Tienilo d’occhio, non
vorrei che facesse qualche cazzata” commentò il vecchio, portando la mano sulla
ringhiera delle scale. “Io adesso scendo di sotto, vado a controllare Cicerone
come sta.”
“Aspetta” disse Beth,
seguendolo giù per le scale. “Dobbiamo parlare di una cosa importante.”
“Cosa c’è?”
“E’ che ieri ho parlato
con Lucrezia, che mi ha rivelato delle cose inquietanti su Lancelot. All’inizio
non le credevo, ma poi ho iniziato a chiedere un paio di cose anche a Maria,
e-”
“Scusami Beth” la
interruppe lui, notando Lucrezia che iniziava a prendersi a morsi le dita, “non
credo sia il momento giusto per parlare di questa cosa.”
“No Ulisse, aspetta. E’
una questione veramente importante, DEVI ascoltarmi.”
Il vecchio si fermò un
secondo, girandosi e guardandola negli occhi freddamente. “Non dirmi cosa devo
o non devo fare, Beth. Non so precisamente cosa ti stia turbando così tanto, ma
ho già fin troppi problemi, non ho il tempo di risolvere anche i tuoi. Ora
scusami, ma come vedi ho da fare.” le disse rabbioso, prima di voltarsi nuovamente
per andare a fermare Lucrezia dallo strapparsi le mani a morsi.
-Giorni prima-
“Come la vedi?”
Ulisse era seduto a un
tavolino in disparte, con Dante, e osservava attentamente i movimenti delle
altre persone all’interno del bar. Cicerone era rientrato nell’ufficio di
Cesare, accompagnato da Lucrezia, mentre gli altri se ne stavano seduti, un po’
sulle loro, evidentemente provati dal clima che si respirava.
“Non durerà” gli rispose
il vecchio, con tono cupo. “Ho come l’impressione che questa situazione possa
solo peggiorare.”
“Lunga vita a re
Cicerone” commentò ridendo lo scrittore, sorseggiando il suo caffé.
“Non so perchè, ma la
cosa sembra ti preoccupi fino ad un certo punto.”
“Non credere, è normale
che io sia preoccupato, ma non so perchè la situazione in cui ci troviamo è
stranamente stimolante. Sto seriamente pensando che, quando tutto sarà finito,
potrei scriverci un romanzo. Sai, sulle vicende del bar.”
“Riesci veramente a
pensare a quando tutto sarà finito?” disse Ulisse, ridacchiando.
“Bisogna pur trovare un
modo per non cadere nella disperazione, no?”
“Forse non hai tutti i
torti” rispose lui, riflettendoci un po’ su. “Sarà che in fondo le cose non è
che mi andassero tanto meglio prima... non so, non riesco a pensare più di
tanto a cosa farò quando questa situazione si risolverà.”
“Mi raccomando, cerca
solo di non buttarti subito sull’alcol.”
“Mi dispiace, questo non
te lo posso promettere” disse Ulisse, sorridendo. “Anche se, con tutta
probabilità, dovrò trovarmi un altro bar dove scroccare un bicchierino ogni
tanto.”
“Troppi ricordi,
immagino” constatò Dante, lanciando uno sguardo verso il bancone del bar.
“Non solo” replicò il
vecchio “ho l’impressione che la prima cosa che farà Cesare quando ce ne
andremo sarà proprio vendere questo maledetto bar. Prova a metterti nei suoi
panni, non solo vieni privato del comando del tuo bar, ma anche cacciato dal
tuo ufficio da parte di perfetti sconosciuti. Io, se fossi al suo posto,
probabilmente emigrerei.”
“Già, la faccenda con
Cicerone è stata proprio una brutta botta” commentò lo scrittore.
“Sai che a volte mi
chiedo proprio Cicerone come reagirà quando il mondo cercherà di tornare alla
normalità?”
“Sicuramente il potere
gli ha dato alla testa.”
“E dubito che lo lascerà
andare volentieri” aggiunse Ulisse, “ho l'impressione che non accetterà mai di
tornare una persona qualunque, piuttosto cercherà di mantenere il potere con la
forza.”
“Cicerone il
conquistatore! Te lo immagini?”
“Non mi ci far pensare”
rispose Ulisse, continuando ad osservare il resto delle persone nella sala. Lo
sguardo cadde casualmente sul volto di Beth, intenta a masticare un salatino
con aria irritata. “Ecco” disse quindi, “forse lei è una delle poche persone
che ne uscirà bene da questo inferno.”
“Beth, dici?” chiese
Dante, osservandola a sua volta. “In effetti sì, devo ammettere che più passa
il tempo più sembra che stia tirando fuori il carattere. Non si è lasciata
schiacciare dalle circostanze nonostante sia stata sotto pressione fin dal
primo giorno.”
“Forse è stato proprio
questo” constatò Ulisse. “In situazioni del genere, quando tutto va male e ti
ritrovi responsabile di altre persone, o ne esci fuori con una maggiore
consapevolezza o crolli.”
“Quello che sta
succedendo a Marley, insomma” aggiunse Dante, osservando lo sguardo spento del
giovane studente. “Le cose con Cicerone non stanno andando bene, è palese. Ho
come l’impressione che possa crollare da un momento all’altro.”
“O esplodere” concluse
Ulisse, finendo di sorseggiare il suo caffè. Fece per alzarsi, per uscire dal
bar, quando incrociò la figura di Lancelot, notando in particolare il suo
sguardo. L’uomo non parve curarsi troppo di lui, ma Ulisse riuscì a cogliere
nei suoi occhi quella strana sensazione che fin dal primo momento lo aveva
lasciato interdetto. Una sensazione glaciale, come se negli occhi di quell’uomo
si celasse un diavolo. Mentre si perdeva in questi pensieri, Lancelot era
semplicemente passato oltre, andandosi a sedere vicino a Maria e Madeleine.
Dante notò l’aria preoccupata nell’amico, e gli chiese se andasse tutto bene.
“Non riesco a non
togliermi dalla testa l’idea che ci sia qualcosa di strano in quell’uomo. È
l'unica persona che non sono riuscito ad inquadrare. Non lo so, forse sto
esagerando, ma ho come l'impressione che stia nascondendo qualcosa” rispose lui
sommessamente.
“Immagino di non aver
avuto solo io questa sensazione allora” continuò Dante, lanciando uno sguardo
verso Eva ed Adam, che facevano allegramente colazione insieme.
“Sinceramente...non so che pensare.”
“Quello che ti posso
assicurare” gli rispose lui, l’aria ancora preoccupata, “è che, se quello che
pensiamo è vero, allora soltanto uno dei due sa di combattere una guerra.”
-Giovedì pomeriggio,
giorno 13-
“Io lo so che ce l’hai,
vecchio di merda. Ti prego, ti prego me ne devi dare un po’. Giusto una
striscia e giuro che starò buono. Starò buono!”
Ulisse osservava il
giovane Cicerone che mostrava chiaramente i sintomi della crisi d’astinenza da
cocaina. Poco prima era scoppiato in un pianto disperato, iniziandosi ad
artigliare la faccia e chiedendo di ‘Farli uscire’. Adesso tremava
nevroticamente, e si era convinto che il vecchio fosse in possesso di altra
cocaina.
“Non costringermi a
legarti, Cicerone. Ti ho già detto che non ho niente. Bevi un po’ d’acqua
piuttosto.”
“Lo sai che non è
l’acqua che voglio!” urlò lui, disperatamente, iniziando a girarsi nervosamente
sul letto, per poi cadere improvvisamente in catalessi.
Ulisse rimase a guardare
lo spettacolo, e non potè fare a meno di pensare a quella mattina in cui Dante,
per scherzo, aveva immaginato per lui un futuro da Conquistatore. Sorrise
amaramente, constatando che brutta fine avesse fatto il giovane, quindi lo
lasciò lì dov’era, andando a prendere una boccata d’aria appoggiato allo
stipite della porta del Medusa Café. Lo sguardo corse, casualmente, su
Lancelot, che teneva abbracciata a sé Eva, la quale iniziava a dare segni di
ripresa, forse rinfrancata dalla presenza dell’uomo. Per quanto quella scena
potesse sembrare quasi commovente, una sola occhiata allo sguardo di Lancelot e
Ulisse tornava nuovamente ad avvertire quella sensazione di irrequietezza.
“Si vede che sei
preoccupato, sai?.”
Le parole di Beth lo
colsero alla sprovvista. Era così concentrato nel guardare la coppia che non si
era reso conto che la cameriera si fosse avvicinata, ammirando a sua volta la
scena. Ulisse sbuffò, preso dalla frustrazione.
“Ti prego Beth, non
adesso.”
“E quando, Ulisse?”
chiese lei, visibilmente irritata. “Ho capito che hai un sacco di pensieri per
la testa, ma-”
“Ma cosa?” replicò lui,
con voce alta. I toni si erano evidentemente scaldati, attirando l’attenzione
di alcune persone all’interno del bar, compreso lo stesso Lancelot, che li
osservava con diffidenza. Ulisse notò l’occhiata dell’uomo, per cui fece cenno
a Beth di seguirla. Si incamminò verso il bagno, aspettando che lo sguardo
delle persone si allontanasse da loro. “Non so se tu hai idea di quanto io
possa essere stressato” sussurrò quindi, guardandola negli occhi, innervosito.
“E non parlo solamente dei problemi che mi stanno dando Cicerone e Lucrezia.
Sto cercando di mantenere tutto sotto controllo.”
La ragazza rimase in
silenzio, ascoltando con attenzione il suo discorso. Ulisse sospirò, passandosi
le dita sulle tempie. “Il cibo sta veramente per finire, Beth” continuò quindi,
cercando di mantenere la calma. “Ho dato uno sguardo a quello che è rimasto e
ho fatto un rapido calcolo, non credo che riusciremo a resistere per più di
cinque giorni, per quanto è possibile tirare la cinghia. I prodotti surgelati
stanno scarseggiando; non è rimasta neanche una barretta di cioccolato-”
“E ci credo” disse
improvvisamente Marley, che si era avvicinato giusto in tempo per sentire le
ultime parole. Lanciò uno sguardo pieno d’odio a Cicerone, che continuava a
rigirarsi sofferente sul divanetto. “Avete visto tutti cosa sono stati in grado
di fare quei due nell’ufficio” continuò, il tono sprezzante, “mi chiedo quando
ci decideremo a cacciarli da qui. Mi fanno una rabbia che non so cosa mi
trattenga da-”
“Tu non lo tocchi” lo
interruppe severamente Ulisse, guardandolo negli occhi. “Dopo che avrò finito
di curarlo potrai fare tutto quello che vuoi, ma adesso mi occupo io di lui.
Spero di essere chiaro.”
Marley rimase ad
osservarlo negli occhi, stizzito, finchè non senti la mano di Beth, che lo
prego di lasciarli soli. Il giovane annuì, lanciando un’ultima occhiata nervosa
ad Ulisse, quindi si allontanò, in silenzio. Beth si passò la mano nei capelli.
“Mi dispiace di doverti creare altri problemi, Ulisse,” disse quindi,
guardandolo in faccia “e credimi, se potessi eviterei. Ma, come ho cercato di
dirti già prima, ho parlato anche con Maria, che mi ha riferito alcune cose
preoccupanti. Tu e Dante siete quelli che più di tutti sembrate avere un quadro
chiaro della situazione. Ti prego.”
Ulisse sospirò, cercando
di mettere ordine nei suoi pensieri. Quindi le riferì quello che era riuscito a
capire. Le disse che avevano notato qualcosa di strano in Lancelot fin
dall’inizio, e che, per quanto potesse essere un'idea basata su nulla, aveva
quasi l’impressione che indossasse una maschera. Le spiegò che lui e Dante si
erano accorti di un suo particolare interesse nei confronti di Eva, che Adam
sembrava non aver realizzato, ma il discorso venne interrotto dalle urla di Cicerone.
Il giovane si era alzato e, disperatamente, stava zoppicando verso l’ingresso,
mugugnando parole incomprensibili. Ulisse, vedendo dove si dirigeva, capì
subito cosa stava per fare e senza pensarci due volte corse contro di lui,
atterrandolo un secondo prima che si potesse gettare sotto all'acqua, alla
disperata ricerca della cocaina. Dante e Marley lo aiutarono a sollevare
Cicerone, e insieme lo bloccarono su una sedia in un angolo del bar, legandolo
saldamente. Il giovane continuava ad urlare e a dimenarsi, finchè le energie
non vennero meno, lasciandolo lì inerme, come in catalessi. Il pensiero di
Ulisse passò immediatamente alla manciata di cocaina che aveva preso di
nascosto prima che la droga venisse lanciata sotto l’acqua. L’uomo scosse la testa,
preoccupato, chiedendosi per quanto tempo avrebbe ancora potuto aspettare prima
di essere costretto a dargliela.
-Giovedì sera, giorno
13-
“Non mi hai mai detto
che scrivi anche tu, sai?”
“Questo?” chiese Ulisse
a Dante, indicando il taccuino che teneva in mano. “Non è nulla di che, ogni
tanto mi capita di sentire il bisogno di mettere qualcosa su carta. Ricordi, il
più delle volte,e riflessioni di tanto in tanto. Niente di particolare,
insomma.”
“Dovresti farmi leggere
qualcosa, un giorno” commentò Dante, lasciando scivolare una sigaretta appena
rollata sul tavolino.
“Si...forse” concluse
lui, abbozzando un mezzo sorriso e ringraziando lo scrittore. Fece scorrere la
rotella dell’accendino un paio di volte, per poi osservare il filo di fumo che
veniva emesso. Il primo tiro sapeva di liberazione.
“Giornata pesante, eh?”
Ulisse si limitò ad
annuire, visibilmente provato, continuando a tirare boccate di fumo.
“E’ un po’ che me lo sto
chiedendo” esordì poi Dante, “perché non hai mai detto a nessuno che fossi un
dottore?”
“Sarebbe servito?”
rispose Ulisse, ridacchiando.
“Dico seriamente”
continuò lo scrittore, osservandolo attentamente. “Perché rimanere a fare il
senzatetto?”
“Sono serio” replicò
lui, mentre il volto assumeva un’espressione più cupa. “Tu forse non lo
ricordi, sarai stato troppo giovane, ma dove vivevo io la situazione non era
delle migliori. È sempre la stessa storia, conflitti di potere, vengono pestati
i piedi alle persone sbagliate e a subire le ripercussioni è sempre la gente
comune. Fabbri, negozianti, medici… quando sono arrivato qui eravamo così tanti
che non si sono neanche presi la briga di chiedermi cosa sapessi fare. Ero solo
uno dei tanti sfollati, fuggiti da un paese in guerra e che non si potevano
rimandare indietro a cuor leggero. Pensa che l’unico lavoro che sono riuscito a
trovare era la mascotte in un parco a tema. Ma erano altri tempi, le persone
non mi rivolgevano la parola e il fatto che non conoscessi bene la lingua
non aiutava. Ero solo.”
“E sappiamo bene com'è
andata dopo” aggiunse Dante, annuendo.
“Già. Ora immagina cosa
succederebbe se mi presentassi in un ospedale. Ulisse, il barbone, che afferma
di essere un dottore! Nessuno mi crederebbe.”
Le parole di Ulisse
furono seguite da un silenzio opprimente. I due se ne stavano lì, pensierosi,
ad osservare l’acqua che continuava a cadere. Le luci nel bar erano spente, e
nell’oscurità gli occhi del barbone sembravano brillare.
“Sai,” disse
improvvisamente, interrompendo il silenzio, “mi sono appena ricordato che
l’ultima volta che ci siamo trovati qui, in questo stesso posto, non ho
risposto alla tua domanda.”
Lo scrittore lo osservò
con un’aria perplessa, evidentemente disorientato dall’improvviso discorso
sollevato dal vecchio.
“Il fatto è che, fin dal
primo giorno, sono stato preoccupato più dagli altri che dalla pioggia in sé.
Tutto quello che stiamo vivendo… è come un enorme deja-vù. Ho imparato che le
persone, in queste situazioni, tirano fuori il peggio di sé, e non mi riferisco
solo a Cicerone. Quando venni qui mi imbarcai in uno di quei barconi di
clandestini. Inutile dirlo, il motore ci abbandonò a parecchi chilometri dalla
costa, lasciando decine di persone bloccate in mezzo al mare, che non si
conoscono tra loro, senza apparente via d’uscita e con scarsità di cibo.”
“Proprio come qui.”
constatò Dante, scuro in viso.
“Fu un inferno. Il
quinto giorno il cibo iniziò a non bastare per tutti, e la gente annegava i
bambini senza farsi scrupoli pur di avere una razione in più. Eravamo una
cinquantina di imbarcati in quella nave. Quando finalmente arrivarono i
soccorsi, ne eravamo a stento la metà.”
Il vecchio mendicante
diceva quelle parole tirando voracemente dalla sigaretta, con l’aria di chi
stava affrontando i fantasmi del passato. Si alzò lentamente, avvicinandosi a
un passo dalla pioggia, in preda ai pensieri. Quindi sorrise, buttando via il
mozzicone sotto l’acqua battente.
“Sai, tempo fa ho
scoperto che una storia del genere è stata raffigurata in un quadro.”
“Forse ho capito a cosa
ti riferisci” disse Dante, pensandoci su. “Se non ricordo male era il dipinto
di un pittore francese. L’opera si chiamava-” interruppe le sue parole,
spalancando gli occhi visibilmente sorpreso. Abbozzò un mezzo sorriso,
scuotendo la testa incredulo.
“Già” continuò Ulisse,
dando uno sguardo all’insegna del Medusa Café. “L’opera si chiamava La
zattera della Medusa. Ora non voglio fermarmi a pensare alle coincidenze,
il rischio di fare questa fine non è per niente lontano dalla realtà. Non so se
ti ricordi, ma il problema col cibo ancora non era sorto e le persone erano già
cadute vittima della paranoia. Tra non molto anche il poco che è rimasto
finirà, e ancora non sono riuscito a trovare un modo realistico per far fronte
al problema.”
Sospirò, passandosi una
mano sul volto. Senza che se ne rendesse conto, d’un tratto incominciò a
tremare.
“Io non riesco a
preoccuparmi della pioggia, Dante,” disse quindi Ulisse, con voce spezzata, “è
delle persone che ho veramente paura.”
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