lunedì 27 aprile 2015

Medusa Café, capitolo 13 -
Piove sul bagnato


-Giorni prima-
Ormai Ulisse non ricordava neanche più quante volte si fosse ritrovato in quella stessa, identica posizione. Se ne stava lì, sulla sedia all'angolo del gazebo, con le spalle poggiate al muro e il bicchiere leggermente sollevato di fronte ai suoi occhi, pieno di un liquido color ambra al centro del quale sembrava galleggiare il bulbo luminoso emesso dalla lampadina del lampione posto poco fuori dal gazebo.  L’unica differenza era che quel lampione, fin dal primo giorno dall’inizio del diluvio, era rimasto spento, lasciandolo completamente al buio, immerso nei suoi pensieri.
“Ci avrei scommesso che ti avrei trovato qui.”
Ulisse mosse lentamente lo sguardo sulla figura di Dante, che si avvicinava a lenti passi, tenendo stretta in mano l’agendina che portava sempre con sé. Il vecchio mendicante sorrise divertito. “Non è un po’ tardi per cercare l’ispirazione, Hemingway?” gli disse ridendo sotto i baffi e continuando a sorseggiare il suo drink. “Fammi una sigaretta, va'.”
“Generalmente ti risponderei che non è mai troppo tardi” replicò lui, sedendosi al suo fianco e iniziando ad ammassare pagliuzze di tabacco sulla cartina, “ma stasera non avrei avuto la forza di mettere la penna su carta neanche volendo. Cesare sembrava caduto in catalessi, e la situazione sembrava poter esplodere da un momento all’altro. Veramente, non potevi scegliere un momento migliore per andartene.”
“Oh, credimi, lo so bene.” gli rispose Ulisse con un sospiro. Chiuse gli occhi infastidito, lasciando il bicchiere mezzo pieno sul tavolino di fronte a lui e iniziando a massaggiarsi la fronte. “Ti sei mai chiesto quand’è che si concentreranno sul vero problema, lì dentro?”

“Dipende cosa intendi per serio” gli rispose Dante, leccando la cartina della sigaretta. “Toh, prendi questa.”
“Grazie. Intendo dire che siamo bloccati qui sotto da una settimana circa e la gente sta ancora litigando su chi ce l’ha più lungo. Ti serve da accendere?” estrasse l’accendino dalla tasca per porgerlo all’amico.
“Tranquillo, ho già fatto. Stavi dicendo?”
“Perfetto. Dicevo...” disse Ulisse, aspirando dalla sigaretta a pieni polmoni. Aprì gli occhi, osservando le gocce di pioggia che cadevano di fronte a lui mentre soffiava via il fumo dalla bocca. “Ti sei mai chiesto quand’è che inizieranno a chiedersi che cazzo sta succedendo?”
“Con la pioggia, intendi?” gli chiese Dante, riaccendendo la sigaretta. Fece una piccola risata, scuotendo via la cenere. “Dai il tempo al cibo di scarseggiare e inizieranno a chiederselo tutti.”
“Spero che tireranno fuori qualcosa di più sensato rispetto a ciò che hanno pensato finora Maria e Marley, allora” rispose Ulisse, ridacchiando a sua volta.
“Dici? Dai che la teoria di Marley perlomeno era fantasiosa.”
“Quale, quella del complotto mondiale che sta usando la pioggia nel tentativo di bloccare la crescita demografica o quella delle entità extraterrestri che hanno evocato la pioggia per poter girare indisturbate per il pianeta?”
“La seconda non me la ricordavo” rispose Dante, scoppiando a ridere. “Ma ci crede veramente a quelle fesserie?”
“Non me lo chiedere, a volte credo che a voi giovani Internet ha fuso il cervello”.
Fece un’altra boccata dalla sigaretta, rimanendo in silenzio, ad osservare il fumo che lentamente volteggiava, salendo verso il telo del gazebo. Restò così per una decina di secondi, mentre gli anelli di fumo si dilatavano, espandendosi fino ai bordi del gazebo solo per essere falciati dalla pioggia incessante. Quindi sorrise, gli occhi illuminati da una strana luce: "Seriamente, secondo te con cosa se ne usciranno?"
"Prego?" replicò Dante, spiazzato dall'improvvisa domanda.  
"Massì, dai, usiamo l'immaginazione" gli disse lui, guardandolo con un'espressione intrigata stampata sul volto. "Secondo te cosa arriveranno a pensare gli altri per dare una spiegazione a questo inferno?"
Dante alzò lo sguardo, dubbioso. "Eh... Così, su due piedi, mi cogli impreparato."
"Avanti, Dante, sei tu lo scrittore tra i due. Non farti pregare."
"Beh..." disse, osservando il furgoncino che rimaneva irraggiungibile sotto il diluvio incessante, "nonostante tutto, credo che le idee più interessanti verranno sicuramente a Margaret. Gli ultimi avvenimenti l'hanno sconvolta, ma ho l'impressione che la sua mente sia l'unica che penserà a qualcosa di verosimile. È il tipo di persona che non si arrende davanti a un problema."
"Quindi secondo te cosa penserà?"
"Mi chiedi troppo" gli rispose lo scrittore, sorridendo, "ma credo che cercherà di analizzare il contenuto dell'acqua, se non altro per cercare eventuali contaminazioni."
"Sì, il ragionamento fila" constatò Ulisse, annuendo sovrappensiero. Fece un altro tiro di sigaretta, assaporandone il sapore silenziosamente. "Di Adam invece che ne pensi?" chiese quindi, soffiando via il fumo dalla bocca.
"Adam?" ci pensò su un paio di secondi. "Ti dirò, riflettendoci credo che-"
"Non sia il tipo che si fa troppe domande" continuò Ulisse sghignazzando. "È troppo pragmatico, troppo impulsivo, e più che cercare la causa del problema lo vedo il tipo di persona che si focalizza su come risolverlo nel breve termine. Un po' come Cesare, se ci pensi."
"Esatto, mi danno l'idea che semplicemente penserebbero a come fare per evitare la pioggia. Probabilmente cercheranno di trovare il modo di estendere la copertura del gazebo, così da controllare se il furgone funziona. Insomma, qualcosa del genere."
"Gli uomini di una volta" aggiunse Ulisse, ridendo.
"Eva invece mi dà l'idea di essere un'altra persona che si potrebbe interrogare sulla natura della pioggia-"
"Su Eva non ci conterei più di tanto, personalmente" lo interruppe a quel punto Ulisse, facendosi serio in volto. "Quella donna si è trovata in una brutta situazione qui sotto, non mi meraviglierei se esplodesse da un momento all'altro."
"Poco, ma sicuro" disse Dante, lo sguardo fisso di fronte a lui. "Si vede che c’è qualcosa di strano tra lei e Lancelot. Mi chiedo come andrà a finire."
"Certo non si può dire che non sia una situazione interessante." disse lui, ridendo, "piuttosto, tu cosa ne pensi?"
"Io?" Dante si alzò, pensieroso, appoggiandosi ad uno dei pilastri del gazebo e fissando il vuoto. Lanciò quello che rimaneva della sua sigaretta fuori dal gazebo, trattenendo l'ultimo tiro in bocca. Sospirò. "Personalmente non ho la più pallida idea di come risponderti. Ho visto di fronte ai miei occhi un uomo che veniva brutalmente massacrato da quelle che sembrano delle normalissime gocce d'acqua, e ora ho il piede nella stessa medesima acqua ma sembra non succedermi niente. La radio è morta, lasciandoci quasi senza alcuna speranza di un aiuto dall'esterno, e improvvisamente tutto diventa ancora più reale. Ti confesso che ho sperato fino all'ultimo che la pioggia se ne andasse così come era venuta, dal nulla, ma è passata una settimana e siamo ancora chiusi qui dentro. Eppure il gazebo non crolla sotto il peso di queste gocce in grado di schiacciare a morte gli esseri umani, e non vedo il livello dell'acqua alzarsi, nonostante la città sia vicina alla costa. Il mondo sembra essersi fermato, quasi come se tutto quello che esiste ormai sia rinchiuso qui sotto."
Ulisse sorrise, bofonchiando un sommesso già a denti stretti, quindi fece l'ultimo tiro di sigaretta, lasciandola nella pozzanghera ai suoi piedi. "Andiamo ora, che se tutto va bene riusciamo a farci un paio d'ore di sonno."
"Ehi, non mi hai detto tu cosa pensi!" gli disse Dante infastidito, avvicinandosi a passo veloce alla figura del vecchio mendicante, che di tutta risposta si limitò a sghignazzare, attraversando la porta del Medusa Café.

-Giovedì mattina, giorno 13-
Gli inquietanti mormorii e le imprecazioni sommesse emesse da Cicerone in preda ai dolori fecero quasi trasalire Ulisse, distogliendolo dai suoi pensieri. Era rimasto vicino al divanetto dove aveva posto il giovane per quasi due giorni, assistendolo dopo che Marley lo aveva quasi ridotto a un cadavere, e per due giorni non aveva dato segni di ripresa. Quelle nottate erano state infernali, e ad un certo punto aveva avuto quasi paura che potesse morire da un momento all'altro. Il fatto che finalmente avesse dato segni di vita era senza dubbio la migliore notizia della giornata.
"Ben svegliato, giovanotto" disse, prendendo la torcia e ispezionando gli occhi del ragazzo.
"D-dove mi trovo?"
"Non all'inferno, ragazzo. Potrai ringraziarmi più tardi."
"Mi scoppia la testa" disse Cicerone, la voce bassa. Provò a sollevare lentamente il braccio, ma il dolore che lo prese al minimo movimento lo fece bestemmiare sonoramente. Dall'altro lato della stanza, disse tra sé e sé Ulisse, qualcuno si starà facendo il segno della croce. "Sei stato...sei stato tu a farmi questa?” chiese Cicerone, indicando la vistosa fasciatura al braccio.
"Immagino che ti dovrò aggiornare su un paio di questioni" rispose Ulisse, sbuffando mentre controllava il polso. "Ora pensa a riposare, che stavi per lasciarci le penne. Ne parliamo dopo."
Si alzò lentamente, avvicinandosi al bordo delle scale.
"Vedo che finalmente si è svegliato" disse improvvisamente una voce femminile. Ulisse alzò lo sguardo e vide Beth che scendeva le scale, lo sguardo rivolto a Cicerone che cercava inutilmente di girarsi. "Come sta messo?"
"In ripresa, direi." disse lui, passandosi le mani sul volto. "Per fortuna al momento è ancora innocuo. Sinceramente spero che non riacquisti le forze troppo velocemente. Di sopra che si dice?"
"Probabilmente è il caso che tu veda con i tuoi occhi" replicò lei, sorridendo ed esortandolo a salire le scale. Il vecchio, incuriosito, la raggiunse al piano di sopra, dove vide Marley con un foglio e una penna in mano seduto vicino a Margaret.
“Quindi pensi che l’effetto serra non sia abbastanza per spiegare la lunga durata della pioggia?”
“Credimi, vorrei che lo fosse” rispose l’insegnante, visibilmente provata, “ma, per quanto possa essere grave la situazione, per quanto possa influenzare il ciclo dell’acqua, non spiegherebbe come faccia la pioggia a durare ben tredici giorni. Considerando che, probabilmente, sta piovendo in tutto il mondo, in tredici giorni potrebbe essere caduto dal cielo l’intero quantitativo d’acqua del globo, ed è una cosa impossibile.”
“Ma è anche quello che sta succedendo.” aggiunse Marley, sbuffando irritato.
“Lo so, e la cosa mi sta tormentando.”
“Tu sei proprio sicura che la storia delle scie chimiche sia inverosimile, vero?”
“Te l’ho già spiegato, sarebbe una teoria troppo assurda. Tralasciando la mole di lavoro che servirebbe per mantenere segreta un’operazione del genere, ma anche solo i venti di alta quota renderebbero lo spargimento di queste presunte sostanze praticamente impossibile da controllare. Senza contare che-”
“Sì, ho capito, chiedevo soltanto, giusto per sicurezza” tagliò corto lui, sovrappensiero. “Forse ci dovremmo concentrare sul perché la pioggia uccida, non credi?”
“Ci ho già riflettuto” rispose lei. “All’inizio mi era venuta in mente la possibilità che fosse un meccanismo simile a quello responsabile della pioggia acida, ma-”
“La pioggia schiaccia, non scioglie, già. Forse è contaminata da sostanze particolarmente pesanti? Non so, potrebbe esserci disciolto del piombo, non credi?”
“Non ho mai sentito una cosa del genere” rispose lei, con un tono quasi rassegnato, “e in ogni caso non spiegherebbe perché una pioggia in grado di schiacciare un essere umano non abbia assolutamente effetto sugli oggetti, a cominciare dal gazebo e dal furgone.”
“Senza considerare il cane” aggiunse lui, sbuffando. Lo sguardo corse sul volto della donna, evidentemente affranta, quindi disse: “Non perdiamoci d’animo, Maggie, troveremo una spiegazione.”
Ulisse, nel guardare la scena, non potè nascondere un sorriso. Non lo aveva stupito tanto il fatto che qualcuno finalmente si stesse interrogando sulla questione importante o che i due andassero d’accordo, quanto che Marley sembrava essere uscito dal suo guscio di convinzioni infantili, come se fosse maturato. Idea che trovava riscontro subito dopo nelle parole di Beth , che gli riferirono come tutto fosse stata proprio un’idea del ragazzo.
Sfortunatamente, notò il vecchio, le cose non andavano bene a tutti lì sopra. Maria era piegata in un angolo, gli occhi quasi spiritati, che girava compulsivamente un rosario tra le mani e sussurrava parole in modo inquietante. Sembrava sull’orlo di una crisi di pianto. Cesare, d’altro canto, non sembrava passarsela troppo meglio.
“Da quanto tempo sta fermo così?” chiese Ulisse, osservando l’uomo appoggiato contro il vetro del balcone con  l’aria di chi si era rassegnato.
“L’ho trovato lì vicino già stamattina” rispose Beth, leggermente preoccupata. “Ho provato a chiedergli se gli servisse qualcosa, di tirarlo su, ma non è servito a niente. A quanto pare è convinto che tutto questo non finirà mai.”
“Tienilo d’occhio, non vorrei che facesse qualche cazzata” commentò il vecchio, portando la mano sulla ringhiera delle scale. “Io adesso scendo di sotto, vado a controllare Cicerone come sta.”
“Aspetta” disse Beth, seguendolo giù per le scale. “Dobbiamo parlare di una cosa importante.”
“Cosa c’è?”
“E’ che ieri ho parlato con Lucrezia, che mi ha rivelato delle cose inquietanti su Lancelot. All’inizio non le credevo, ma poi ho iniziato a chiedere un paio di cose anche a Maria, e-”
“Scusami Beth” la interruppe lui, notando Lucrezia che iniziava a prendersi a morsi le dita, “non credo sia il momento giusto per parlare di questa cosa.”
“No Ulisse, aspetta. E’ una questione veramente importante, DEVI ascoltarmi.”
Il vecchio si fermò un secondo, girandosi e guardandola negli occhi freddamente. “Non dirmi cosa devo o non devo fare, Beth. Non so precisamente cosa ti stia turbando così tanto, ma ho già fin troppi problemi, non ho il tempo di risolvere anche i tuoi. Ora scusami, ma come vedi ho da fare.” le disse rabbioso, prima di voltarsi nuovamente per andare a fermare Lucrezia dallo strapparsi le mani a morsi.

-Giorni prima-
“Come la vedi?”
Ulisse era seduto a un tavolino in disparte, con Dante, e osservava attentamente i movimenti delle altre persone all’interno del bar. Cicerone era rientrato nell’ufficio di Cesare, accompagnato da Lucrezia, mentre gli altri se ne stavano seduti, un po’ sulle loro, evidentemente provati dal clima che si respirava.
“Non durerà” gli rispose il vecchio, con tono cupo. “Ho come l’impressione che questa situazione possa solo peggiorare.”
“Lunga vita a re Cicerone” commentò ridendo lo scrittore, sorseggiando il suo caffé.
“Non so perchè, ma la cosa sembra ti preoccupi fino ad un certo punto.”
“Non credere, è normale che io sia preoccupato, ma non so perchè la situazione in cui ci troviamo è stranamente stimolante. Sto seriamente pensando che, quando tutto sarà finito, potrei scriverci un romanzo. Sai, sulle vicende del bar.”
“Riesci veramente a pensare a quando tutto sarà finito?” disse Ulisse, ridacchiando.
“Bisogna pur trovare un modo per non cadere nella disperazione, no?”
“Forse non hai tutti i torti” rispose lui, riflettendoci un po’ su. “Sarà che in fondo le cose non è che mi andassero tanto meglio prima... non so, non riesco a pensare più di tanto a cosa farò quando questa situazione si risolverà.”
“Mi raccomando, cerca solo di non buttarti subito sull’alcol.”
“Mi dispiace, questo non te lo posso promettere” disse Ulisse, sorridendo. “Anche se, con tutta probabilità, dovrò trovarmi un altro bar dove scroccare un bicchierino ogni tanto.”
“Troppi ricordi, immagino” constatò Dante, lanciando uno sguardo verso il bancone del bar.
“Non solo” replicò il vecchio “ho l’impressione che la prima cosa che farà Cesare quando ce ne andremo sarà proprio vendere questo maledetto bar. Prova a metterti nei suoi panni, non solo vieni privato del comando del tuo bar, ma anche cacciato dal tuo ufficio da parte di perfetti sconosciuti. Io, se fossi al suo posto, probabilmente emigrerei.”
“Già, la faccenda con Cicerone è stata proprio una brutta botta” commentò lo scrittore.
“Sai che a volte mi chiedo proprio Cicerone come reagirà quando il mondo cercherà di tornare alla normalità?”
“Sicuramente il potere gli ha dato alla testa.”
“E dubito che lo lascerà andare volentieri” aggiunse Ulisse, “ho l'impressione che non accetterà mai di tornare una persona qualunque, piuttosto cercherà di mantenere il potere con la forza.”
“Cicerone il conquistatore! Te lo immagini?”
“Non mi ci far pensare” rispose Ulisse, continuando ad osservare il resto delle persone nella sala. Lo sguardo cadde casualmente sul volto di Beth, intenta a masticare un salatino con aria irritata. “Ecco” disse quindi, “forse lei è una delle poche persone che ne uscirà bene da questo inferno.”
“Beth, dici?” chiese Dante, osservandola a sua volta. “In effetti sì, devo ammettere che più passa il tempo più sembra che stia tirando fuori il carattere. Non si è lasciata schiacciare dalle circostanze nonostante sia stata sotto pressione fin dal primo giorno.”
“Forse è stato proprio questo” constatò Ulisse. “In situazioni del genere, quando tutto va male e ti ritrovi responsabile di altre persone, o ne esci fuori con una maggiore consapevolezza o crolli.”
“Quello che sta succedendo a Marley, insomma” aggiunse Dante, osservando lo sguardo spento del giovane studente. “Le cose con Cicerone non stanno andando bene, è palese. Ho come l’impressione che possa crollare da un momento all’altro.”
“O esplodere” concluse Ulisse, finendo di sorseggiare il suo caffè. Fece per alzarsi, per uscire dal bar, quando incrociò la figura di Lancelot, notando in particolare il suo sguardo. L’uomo non parve curarsi troppo di lui, ma Ulisse riuscì a cogliere nei suoi occhi quella strana sensazione che fin dal primo momento lo aveva lasciato interdetto. Una sensazione glaciale, come se negli occhi di quell’uomo si celasse un diavolo. Mentre si perdeva in questi pensieri, Lancelot era semplicemente passato oltre, andandosi a sedere vicino a Maria e Madeleine. Dante notò l’aria preoccupata nell’amico, e gli chiese se andasse tutto bene.
“Non riesco a non togliermi dalla testa l’idea che ci sia qualcosa di strano in quell’uomo. È l'unica persona che non sono riuscito ad inquadrare. Non lo so, forse sto esagerando, ma ho come l'impressione che stia nascondendo qualcosa” rispose lui sommessamente.
“Immagino di non aver avuto solo io questa sensazione allora” continuò Dante, lanciando uno sguardo verso Eva ed Adam, che facevano allegramente colazione insieme. “Sinceramente...non so che pensare.”
“Quello che ti posso assicurare” gli rispose lui, l’aria ancora preoccupata, “è che, se quello che pensiamo è vero, allora soltanto uno dei due sa di combattere una guerra.”

-Giovedì pomeriggio, giorno 13-
“Io lo so che ce l’hai, vecchio di merda. Ti prego, ti prego me  ne devi dare un po’. Giusto una striscia e giuro che starò buono. Starò buono!”
Ulisse osservava il giovane Cicerone che mostrava chiaramente i sintomi della crisi d’astinenza da cocaina. Poco prima era scoppiato in un pianto disperato, iniziandosi ad artigliare la faccia e chiedendo di ‘Farli uscire’. Adesso tremava nevroticamente, e si era convinto che il vecchio fosse in possesso di altra cocaina.
“Non costringermi a legarti, Cicerone. Ti ho già detto che non ho niente. Bevi un po’ d’acqua piuttosto.”
“Lo sai che non è l’acqua che voglio!” urlò lui, disperatamente, iniziando a girarsi nervosamente sul letto, per poi cadere improvvisamente in catalessi.
Ulisse rimase a guardare lo spettacolo, e non potè fare a meno di pensare a quella mattina in cui Dante, per scherzo, aveva immaginato per lui un futuro da Conquistatore. Sorrise amaramente, constatando che brutta fine avesse fatto il giovane, quindi lo lasciò lì dov’era, andando a prendere una boccata d’aria appoggiato allo stipite della porta del Medusa Café. Lo sguardo corse, casualmente, su Lancelot, che teneva abbracciata a sé Eva, la quale iniziava a dare segni di ripresa, forse rinfrancata dalla presenza dell’uomo. Per quanto quella scena potesse sembrare quasi commovente, una sola occhiata allo sguardo di Lancelot e Ulisse tornava nuovamente ad avvertire quella sensazione di irrequietezza.
“Si vede che sei preoccupato, sai?.”
Le parole di Beth lo colsero alla sprovvista. Era così concentrato nel guardare la coppia che non si era reso conto che la cameriera si fosse avvicinata, ammirando a sua volta la scena. Ulisse sbuffò, preso dalla frustrazione.
“Ti prego Beth, non adesso.”
“E quando, Ulisse?” chiese lei, visibilmente irritata. “Ho capito che hai un sacco di pensieri per la testa, ma-”
“Ma cosa?” replicò lui, con voce alta. I toni si erano evidentemente scaldati, attirando l’attenzione di alcune persone all’interno del bar, compreso lo stesso Lancelot, che li osservava con diffidenza. Ulisse notò l’occhiata dell’uomo, per cui fece cenno a Beth di seguirla. Si incamminò verso il bagno, aspettando che lo sguardo delle persone si allontanasse da loro. “Non so se tu hai idea di quanto io possa essere stressato” sussurrò quindi, guardandola negli occhi, innervosito. “E non parlo solamente dei problemi che mi stanno dando Cicerone e Lucrezia. Sto cercando di mantenere tutto sotto controllo.”  
La ragazza rimase in silenzio, ascoltando con attenzione il suo discorso. Ulisse sospirò, passandosi le dita sulle tempie. “Il cibo sta veramente per finire, Beth” continuò quindi, cercando di mantenere la calma. “Ho dato uno sguardo a quello che è rimasto e ho fatto un rapido calcolo, non credo che riusciremo a resistere per più di cinque giorni, per quanto è possibile tirare la cinghia. I prodotti surgelati stanno scarseggiando; non è rimasta neanche una barretta di cioccolato-”
“E ci credo” disse improvvisamente Marley, che si era avvicinato giusto in tempo per sentire le ultime parole. Lanciò uno sguardo pieno d’odio a Cicerone, che continuava a rigirarsi sofferente sul divanetto. “Avete visto tutti cosa sono stati in grado di fare quei due nell’ufficio” continuò, il tono sprezzante, “mi chiedo quando ci decideremo a cacciarli da qui. Mi fanno una rabbia che non so cosa mi trattenga da-”
“Tu non lo tocchi” lo interruppe severamente Ulisse, guardandolo negli occhi. “Dopo che avrò finito di curarlo potrai fare tutto quello che vuoi, ma adesso mi occupo io di lui. Spero di essere chiaro.”
Marley rimase ad osservarlo negli occhi, stizzito, finchè non senti la mano di Beth, che lo prego di lasciarli soli. Il giovane annuì, lanciando un’ultima occhiata nervosa ad Ulisse, quindi si allontanò, in silenzio. Beth si passò la mano nei capelli. “Mi dispiace di doverti creare altri problemi, Ulisse,” disse quindi, guardandolo in faccia “e credimi, se potessi eviterei. Ma, come ho cercato di dirti già prima, ho parlato anche con Maria, che mi ha riferito alcune cose preoccupanti. Tu e Dante siete quelli che più di tutti sembrate avere un quadro chiaro della situazione. Ti prego.”
Ulisse sospirò, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri. Quindi le riferì quello che era riuscito a capire. Le disse che avevano notato qualcosa di strano in Lancelot fin dall’inizio, e che, per quanto potesse essere un'idea basata su nulla, aveva quasi l’impressione che indossasse una maschera. Le spiegò che lui e Dante si erano accorti di un suo particolare interesse nei confronti di Eva, che Adam sembrava non aver realizzato, ma il discorso venne interrotto dalle urla di Cicerone. Il giovane si era alzato e, disperatamente, stava zoppicando verso l’ingresso, mugugnando parole incomprensibili. Ulisse, vedendo dove si dirigeva, capì subito cosa stava per fare e senza pensarci due volte corse contro di lui, atterrandolo un secondo prima che si potesse gettare sotto all'acqua, alla disperata ricerca della cocaina. Dante e Marley lo aiutarono a sollevare Cicerone, e insieme lo bloccarono su una sedia in un angolo del bar, legandolo saldamente. Il giovane continuava ad urlare e a dimenarsi, finchè le energie non vennero meno, lasciandolo lì inerme, come in catalessi. Il pensiero di Ulisse passò immediatamente alla manciata di cocaina che aveva preso di nascosto prima che la droga venisse lanciata sotto l’acqua. L’uomo scosse la testa, preoccupato, chiedendosi per quanto tempo avrebbe ancora potuto aspettare prima di essere costretto a dargliela.

-Giovedì sera, giorno 13-
“Non mi hai mai detto che scrivi anche tu, sai?”
“Questo?” chiese Ulisse a Dante, indicando il taccuino che teneva in mano. “Non è nulla di che, ogni tanto mi capita di sentire il bisogno di mettere qualcosa su carta. Ricordi, il più delle volte,e riflessioni di tanto in tanto. Niente di particolare, insomma.”
“Dovresti farmi leggere qualcosa, un giorno” commentò Dante, lasciando scivolare una sigaretta appena rollata sul tavolino.
“Si...forse” concluse lui, abbozzando un mezzo sorriso e ringraziando lo scrittore. Fece scorrere la rotella dell’accendino un paio di volte, per poi osservare il filo di fumo che veniva emesso. Il primo tiro sapeva di liberazione.
“Giornata pesante, eh?”
Ulisse si limitò ad annuire, visibilmente provato, continuando a tirare boccate di fumo.
“E’ un po’ che me lo sto chiedendo” esordì poi Dante, “perché non hai mai detto a nessuno che fossi un dottore?”
“Sarebbe servito?” rispose Ulisse, ridacchiando.
“Dico seriamente” continuò lo scrittore, osservandolo attentamente. “Perché rimanere a fare il senzatetto?”
“Sono serio” replicò lui, mentre il volto assumeva un’espressione più cupa. “Tu forse non lo ricordi, sarai stato troppo giovane, ma dove vivevo io la situazione non era delle migliori. È sempre la stessa storia, conflitti di potere, vengono pestati i piedi alle persone sbagliate e a subire le ripercussioni è sempre la gente comune. Fabbri, negozianti, medici… quando sono arrivato qui eravamo così tanti che non si sono neanche presi la briga di chiedermi cosa sapessi fare. Ero solo uno dei tanti sfollati, fuggiti da un paese in guerra e che non si potevano rimandare indietro a cuor leggero. Pensa che l’unico lavoro che sono riuscito a trovare era la mascotte in un parco a tema. Ma erano altri tempi, le persone non mi rivolgevano la parola e il fatto che  non conoscessi bene la lingua non aiutava. Ero solo.”
“E sappiamo bene com'è andata dopo” aggiunse Dante, annuendo.
“Già. Ora immagina cosa succederebbe se mi presentassi in un ospedale. Ulisse, il barbone, che afferma di essere un dottore! Nessuno mi crederebbe.”
Le parole di Ulisse furono seguite da un silenzio opprimente. I due se ne stavano lì, pensierosi, ad osservare l’acqua che continuava a cadere. Le luci nel bar erano spente, e nell’oscurità gli occhi del barbone sembravano brillare.
“Sai,” disse improvvisamente, interrompendo il silenzio, “mi sono appena ricordato che l’ultima volta che ci siamo trovati qui, in questo stesso posto, non ho risposto alla tua domanda.”
Lo scrittore lo osservò con un’aria perplessa, evidentemente disorientato dall’improvviso discorso sollevato dal vecchio.
“Il fatto è che, fin dal primo giorno, sono stato preoccupato più dagli altri che dalla pioggia in sé. Tutto quello che stiamo vivendo… è come un enorme deja-vù. Ho imparato che le persone, in queste situazioni, tirano fuori il peggio di sé, e non mi riferisco solo a Cicerone. Quando venni qui mi imbarcai in uno di quei barconi di clandestini. Inutile dirlo, il motore ci abbandonò a parecchi chilometri dalla costa, lasciando decine di persone bloccate in mezzo al mare, che non si conoscono tra loro, senza apparente via d’uscita e con scarsità di cibo.”
“Proprio come qui.” constatò Dante, scuro in viso.
“Fu un inferno. Il quinto giorno il cibo iniziò a non bastare per tutti, e la gente annegava i bambini senza farsi scrupoli pur di avere una razione in più. Eravamo una cinquantina di imbarcati in quella nave. Quando finalmente arrivarono i soccorsi, ne eravamo a stento la metà.”
Il vecchio mendicante diceva quelle parole tirando voracemente dalla sigaretta, con l’aria di chi stava affrontando i fantasmi del passato. Si alzò lentamente, avvicinandosi a un passo dalla pioggia, in preda ai pensieri. Quindi sorrise, buttando via il mozzicone sotto l’acqua battente.
“Sai, tempo fa ho scoperto che una storia del genere è stata raffigurata in un quadro.”
“Forse ho capito a cosa ti riferisci” disse Dante, pensandoci su. “Se non ricordo male era il dipinto di un pittore francese. L’opera si chiamava-” interruppe le sue parole, spalancando gli occhi visibilmente sorpreso. Abbozzò un mezzo sorriso, scuotendo la testa incredulo.
“Già” continuò Ulisse, dando uno sguardo all’insegna del Medusa Café. “L’opera si chiamava La zattera della Medusa. Ora non voglio fermarmi a pensare alle coincidenze, il rischio di fare questa fine non è per niente lontano dalla realtà. Non so se ti ricordi, ma il problema col cibo ancora non era sorto e le persone erano già cadute vittima della paranoia. Tra non molto anche il poco che è rimasto finirà, e ancora non sono riuscito a trovare un modo realistico per far fronte al problema.”
Sospirò, passandosi una mano sul volto. Senza che se ne rendesse conto, d’un tratto incominciò a tremare.
“Io non riesco a preoccuparmi della pioggia, Dante,” disse quindi Ulisse, con voce spezzata, “è delle persone che ho veramente paura.”


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