martedì 2 giugno 2015

Medusa Café, capitolo 14 -
Il fine giustifica i mezzi

-Venerdì, giorno 14-


Lancelot sentì le gocce di pioggia cadere sul suo corpo, e capì che era finita. Tutto il suo lavoro gettato alle ortiche per una scommessa che aveva perso. Gli tornarono in mente le parole di John Lochness, il vecchio dell'intervista di Eva: La vita del bugiardo, però, è piena di rischi. Ogni bugia, ogni inganno, ogni manipolazione, è una nuova scommessa. E sono tutte scommesse in cui ci si gioca tutto. Questavolta, Lancelot aveva perso. Ed era peggio della roulette russa, in cui almeno avrebbe saputo spiegarsi il processo fisico con cui il percussore colpisce il proiettile e il proiettile frantuma il cervello. Era la pioggia, la maledetta pioggia assassina che aveva fatto da cornice al lento processo grazie al quale era diventato meno di un uomo, meno di una bestia, e aveva perso tutto. Mentre indietreggiava aprì le braccia e digrignò i denti in un sorriso da lupo, accettando la sconfitta e la pioggia con dignità. In quel momento poteva essere onesto con se stesso, e ammettere di essere felice all'idea di non dover assistere a ciò che sarebbe seguito all’interno del bar.


***


Aveva conosciuto Eva quando lei lo aveva intervistato, e da subito aveva deciso che l’avrebbe conquistata. L’aveva fatta accomodare nel suo ufficio, e mentre lei gli poneva le prime domande aveva messo in mostra tutti i soliti trucchi di seduzione, ma non sembravano sortire alcun effetto. Poi aveva notato la fede al dito di lei e si era reso conto di star giocando una partita molto più difficile, ma con una ricompensa molto più gratificante. Aveva cambiato tattica, come quando rinunciò al suo sogno di diventare regista ed era passato alla produzione di giochi a premi e reality show, e alla fine era riuscito a vincere la donna dei suoi sogni esattamente come aveva vinto la sua posizione e il suo stipendio, facendo leva sui desideri più cattivi delle persone, facendo credere loro che fossero giusti. Aveva passato gran parte della sua vita a mentire, mentiva anche per lavoro, ma era sempre stato sincero con se stesso, soprattutto a proposito di ciò che provava per lei.
E lei lo aveva capito, gli aveva accennato più volte al desiderio che aveva di lasciare suo marito per lui, anche se non riusciva a farlo. Eva aveva continuato a portare avanti quella doppia vita fatta di bugie per troppo tempo, e Lancelot trovava quella situazione inspiegabile: lei era molto attaccata alla sua prima intervista importante e lui aveva letto quel pezzo più volte, perché si ritrovava nelle parole e nella figura di quell’uomo. Eppure, Eva sembrava impermeabile alle verità che quell’uomo aveva messo a nudo a proposito dell’onestà. E Lancelot, dal suo canto, negli ultimi quattordici giorni aveva commesso lo sbaglio più grande della sua vita: aveva mentito anche a lei. Le aveva mentito quando le aveva detto di essersi trovato in quel bar per caso, anche se non del tutto: l’aveva vista da lontano che passeggiava con Adam e aveva deciso di seguirli, si era seduto al loro stesso bar per osservarla, per cercare di scorgere nei suoi movimenti di fronte a suo marito la stessa libertà che vedeva quando era nel suo letto, e nel giro di pochi minuti si era ritrovato in una situazione ingestibile. Di nuovo, aveva deciso che l’avrebbe spuntata.
Aveva deciso che avrebbe manovrato quella situazione a suo vantaggio, sfruttando i desideri e le debolezze di quelle persone come fossero gli attori del film che non aveva mai girato, come faceva quando mandava in onda programmi in cui degli sconosciuti chiusi in una casa per mesi litigavano e si lanciavano bottiglie in faccia solo per far illudere i telespettatori che l’istinto di lanciare bottiglie fosse normale e condivisibile. Aveva avvicinato Cesare e Margaret, i potenti, per poter avere influenza sulle loro decisioni. Li aveva sentiti discutere dei posti letto, e dell’idea di lasciare il furgoncino alla coppia sposata e si era sentito sotto scacco. Era un’idea che non presentava lati negativi e lui era stato costretto a fare buon viso a cattivo gioco. A quel punto aveva avvicinato Maria e Madeleine perché sembravano particolarmente manipolabili e avrebbe potuto utilizzarle come elemento di disturbo, ma neanche in quel caso era riuscito a cavare un ragno dal buco: avrebbe dovuto conoscere la Bibbia a menadito per farsi strada nelle loro menti.


Poi aveva notato Lucrezia, e aveva trovato ciò che cercava. Quella ragazza era fatta della sua stessa pasta: furba, subdola, manipolatrice, ma con meno esperienza, con il vantaggio innato di un corpo giovane e attraente e lo svantaggio della convinzione che quel corpo fosse l’arma di manipolazione perfetta. L’aveva vista cercare di sedurre Cesare, e sapeva che non ci sarebbe riuscita. Tra lei, Beth ed Eva c’era abbastanza materiale da tenere incollati gli occhi di chiunque, eppure il gestore del bar seguiva con lo sguardo Dante, o all’occorrenza Lancelot stesso. Aveva osservato Lucrezia entrare nel suo studio, una mattina, per uscirne poco dopo imbestialita e iniziare a rivolgere improvvisamente tutte le sue attenzioni verso Cicerone, e non era stato difficile capire cosa fosse successo dietro quella porta. Quello stesso giorno aveva avvicinato Adam con la scusa di una partita a dama per iniziare a conoscerlo e capire che uomo fosse, per individuare le sue debolezze, ma quell’uomo sembrava restio ad aprirsi con chiunque non fosse sua moglie. Eva era tutto il suo mondo, anche per Adam.
Quel giorno era rimasto ore a fissare il furgoncino, così facile da rendere inaccessibile se solo avesse avuto una scusa per armeggiare qualche minuto con i cavi del gazebo. E fu proprio Lucrezia, quella sera, a dargliene modo. Quando tutti erano andati a dormire la ragazza aveva iniziato a rovistare sotto il bancone dicendo di star cercando della carta igienica, e lui si era offerto di aiutarla e l’aveva accompagnata in bagno.
“Cosa vuoi rubare?” l’aveva apostrofata immediatamente ma sottovoce, “del cibo?”
Lucrezia era saltata sulla difensiva, ma Lancelot le fece capire immediatamente che non credeva alle sue scuse. Un secondo dopo lei gli stava alitando sul collo facendo proposte sconce, ma lui la allontanò. “Oggi è la seconda volta che ti va male, mi sa. Prima Cesare e poi me, giusto?” Aveva notato il colorito del suo volto farsi più pallido e le aveva poggiato una mano sulla spalla, “non ti preoccupare, siamo dalla stessa parte. A cosa ti serve quel cibo?” Lei aveva detto poche parole, lasciando intendere che voleva fare uno scherzo ai danni di Margaret, ma era chiaro che ci fosse di più dietro. “Screditare Margaret per far perdere consenso a Cesare, che non si lascia sedurre da te. Mi sembra fattibile.” A quel punto, Lucrezia aveva recitato la sua parte esattamente come previsto, chiedendogli per quale motivo la volesse aiutare. Doveva darle l’illusione di starsi scoprendo, di starle consegnando un’arma da utilizzare contro di lui. “Anche io voglio che Cesare venga messo da parte. Voglio essere io a comandare. Ora esci e non ti preoccupare, al cibo ci penso io.”
Si erano incontrati quella notte all’esterno del bar, avevano fumato una sigaretta e lui le aveva consegnato i gelati, aspettando che venissero scoperti il giorno dopo. Nel mezzo della confusione aveva tenuto il suo discorso sulla necessità della punizione, stimolando nella mente di qualcuno l’idea del furgoncino, ma non era ancora abbastanza. Alla fine della giornata, con una mossa impeccabile, era riuscito a mettere Adam in una posizione di responsabilità che avrebbe dovuto tenerlo impegnato abbastanza da farlo scollare da Eva, e allo stesso tempo aveva distrutto l’arma di ricatto che aveva dato a Lucrezia.


All’alba del giorno dopo aveva manomesso i cavi del gazebo ed era tornato a dormire, aveva calcolato che si sarebbe allentato fino a sembrare pericoloso, e nella foga che sarebbe seguita per liberare Margaret avrebbe potuto sciogliere l’ultimo nodo necessario per farlo crollare del tutto. Avrebbe potuto scioglierlo in quel momento ma così facendo avrebbe causato troppo rumore, senza considerare che avrebbe condannato Margaret a morire di fame. Aveva cercato, invano, di proporre Adam come nuovo capo, ma Cicerone il ragazzino impettito aveva abbindolato tutti con la sua parlata da giurista e gli aveva messo i bastoni fra le ruote. In ogni caso Adam era comunque impegnato a perquisire ladri di gelati e assecondare il suo nuovo padrone, e lui aveva potuto avvicinare Eva con un’offerta di pace. Durante tante mattine nel suo letto le aveva promesso che le avrebbe insegnato a giocare a scacchi, e quel giorno le propose di iniziare finalmente con le lezioni. Era bello averla vicino, anche senza la possibilità di sfiorarla o di parlare di ciò che provava. Ogni tanto lasciava cadere qualche riferimento ai momenti che avevano vissuto insieme ed Eva reagiva esattamente come lui voleva, ma quell’umidità che si accumulava negli angoli dei suoi occhi non sembrava essere abbastanza per allontanarla da suo marito. Lei aveva ritrovato improvvisamente l’amore per quell’impiegato da quattro soldi da quando aveva ottenuto senza alcun merito un posto di rilievo grazie alle persuasioni di Lancelot. E lui aveva imparato che quando le vittorie non sono soddisfacenti bisognava alzare la posta. Aveva continuato a mantenere rapporti con gli altri, a cercare di farsi volere bene, ed era riuscito a sviluppare un certo ascendente su Madeleine. Aveva smesso di provare a fare leva sulla religione, e aveva puntato sulle sue pulsioni più umane, l’aveva fatta sentire accettata per ciò che era, senza che si conformasse alle leggi scritte su un libro vecchio di millenni. Le aveva fatto capire che la sua paura non andava combattuta con fede incrollabile ma affrontata direttamente. Lei lo aveva addirittura proposto come capo, e lo ascoltava quasi con la stessa espressione che riservava a Maria, ma era una pedina inutile, come quell’alfiere inchiodato che gli aveva fatto perdere il torneo di scacchi al liceo. A quel punto, Lancelot si era rassegnato a limitarsi a giocare a scacchi con la donna che amava, a vederla comportarsi affettuosamente con Adam grazie agli ingranaggi che lui aveva messo in moto, a dormire con lui sul divano perché il gazebo era crollato. Ogni sua mossa gli si era ritorta contro, ma non era abbastanza per farlo arrendere. Non aveva abbandonato i suoi propositi, si era solo ritirato in difesa e stava squadrando il suo avversario.
La soluzione ai suoi problemi non aveva tardato a mostrarsi, grazie all’aiuto di un ragazzino presuntuoso e cocainomane. Aveva riconosciuto da subito i segni dell’abuso di cocaina nei comportamenti di Cicerone, ma non riusciva a trovare una spiegazione per la provenienza di quella droga. Aveva cercato di lasciar cadere qualche accenno all’argomento con Cesare ma lui glissava, e alla fine aveva deciso che non era necessario saperlo: il gioco alcolico di re Cicerone gli aveva appena consegnato un’arma preziosissima e pericolosissima.


Si era reso artefice di truffe, inganni e raggiri di ogni tipo. Aveva preso parte all’ingiusta incarcerazione di Margaret e all’investitura di Cicerone, che avrebbe solo peggiorato le cose, ma l’omicidio era tutta un’altra storia. Alla sola idea gli tremavano le gambe, parlava con Madeleine del diavolo e del frutto del ventre delle sante, della fine della pioggia, degli arcangeli e della liberazione, e intanto si pizzicava l’interno dell’avambraccio fino a scorticarsi, per distrarsi dalla tensione con il dolore. A quel punto, uccidere Adam si era reso necessario: Lancelot era disposto a sporcarsi le mani, a macchiarsi la coscienza e a vendere l’anima, ma in cambio di qualcosa. Avrebbe saputo convivere con l’omicidio di Adam se gli avesse fatto conquistare Eva, ma non avrebbe potuto accettare l’arresto di Margaret e le umiliazioni inflitte a Cesare se non fossero avvenute per un giusto motivo.
Quando Eva era scesa dal piano di sopra chiedendo di suo marito, Lancelot aveva sentito il bisogno di precipitarsi in bagno a controllare che quell’uomo fosse davvero morto, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era un ferito che accusava una fanatica, che a sua volta avrebbe puntato un dito contro di lui. Di fronte al cadavere di Adam aveva provato un brivido di eccitazione e di puro terrore: aveva stroncato una vita. Aveva passato un limite dal quale non sarebbe più potuto tornare indietro, aveva portato la sua partita ad un livello superiore ed era necessario recitare la sua parte: mostrarsi contrito, aiutare Eva, starle vicino nel momento del bisogno. Gli era sfuggita una frase di troppo mentre cercava di calmarla, ma per fortuna nessuno sembrava essersene accorto. Seduto sul divano insieme a lei, aveva iniziato a ripercorrere con la mente tutta la sua permanenza al Medusa Café, cercando di isolare i punti deboli e rimediare agli errori commessi durante il suo percorso. Lucrezia non aveva nulla per accusarlo tranne la propria parola, ma la sua vicinanza a Cicerone l’avrebbe presto resa invisa a tutti. La questione del gazebo non aveva punti deboli. I discorsi di Madeleine avevano senso solo nella sua mente, ma doveva assicurarsi che non parlasse troppo: si unì allora alle persone che discutevano sul trattamento da riservarle, limitandosi ad esprimere un parere contrario su ogni idea. Lasciarla legata era poco umano, buttarla fuori troppo crudele, lasciarla in custodia a qualcuno troppo incosciente. Gli abitanti del Medusa Café, da ignavi quali erano, non volevano prendere decisioni difficili, non volevano essere etichettati come disumani, crudeli o incoscienti, e rimasero in stallo finché non si piegarono alla decisione della folle. In quel momento Lancelot si sentì vittorioso, le due fanatiche camminavano verso la pioggia, verso il momento della verità, verso la soluzione del mistero di Raider. Madeleine sarebbe uscita illesa, lui avrebbe preso Eva e l’avrebbe portata a casa, sparendo dai radar. Oppure, Madeleine sarebbe morta e lui avrebbe dovuto pensare ad una soluzione alternativa. Invece era stata proprio Eva a rovinare i suoi piani, saltando addosso alla schizzata con un coltello in mano. Aveva cercato di fermarla, ma invano. Quel momento di follia della sua donna gli aveva causato danni inimmaginabili, ma non irreversibili.
Poi Cicerone era uscito dallo studio, drogato e in preda alla follia, e lui aveva deciso che avrebbe convinto gli altri a buttare lui sotto la pioggia. Lasciò che cercasse di trascinare Eva fuori per far rendere conto tutti del fatto che era una minaccia ingestibile, ma a quel punto fu Marley a  rovinare i suoi piani. Cicerone era diventato un inutile ammasso di carne morente, incapace di fare del male a qualcun altro, e poi Ulisse aveva annunciato che il cibo sarebbe finito a breve. Un momento prima che il mendicante aprisse bocca, Lancelot era sicuro di aver vinto, e invece aveva dovuto affrontare il fatto che avrebbe avuto Eva solo per qualche giorno, prima di morire di fame. Non poteva accettarlo, allora aveva deciso che avrebbe rivolto l’odio di tutti su Lucrezia.
La ragazzina piangeva, digiunava e si vomitava addosso, si graffiava e dava segni di squilibrio, era diventata la vittima perfetta e faceva pena a tutti. L’aveva guardata e si era ripromesso di non lasciarsi sopraffare dagli eventi come era accaduto a lei, semmai fosse stato scoperto avrebbe accettato la sconfitta con dignità.
Il giorno dopo aveva iniziato a sondare il terreno, cercando di capire chi sarebbe potuto essere favorevole ai test umani, ne aveva parlato con Dante e Margaret ma tanto per cambiare nessuno aveva abbastanza palle da fare ciò che andava fatto. Tanto per cambiare, avrebbe dovuto fare tutto lui all’insaputa degli altri.


***


A quattordici giorni dall’inizio della pioggia, il cibo stava per finire e le due settimane di reclusione stavano manifestando i loro effetti su tutti, ognuno era schiavo delle proprie paranoie e incapace di uscirne: qualcuno era caduto in depressione, non solo Lucrezia ed Eva, ma anche Cesare, Margaret e Maria rifuggivano ogni contatto umano. Marley e Ulisse erano costantemente nervosi, Dante sembrava spaesato e confuso, Beth paranoica e guardinga. Cicerone era preso dai suoi deliri privi di alcun senso, e Lancelot fu costretto ad ammettere a se stesso che probabilmente anche lui stava perdendo la testa. La sua follia, però, era diversa. Doveva mantenersi lucido e pensare razionalmente, tenersi nutrito e idratato mentre gli altri intorno a sé cadevano a pezzi. Il bar era pervaso dall’odore di umani vecchi di quattordici giorni, di corpi che marcivano fuori dall’ingresso, della merda e del piscio che Cicerone si era fatto addosso, di capelli unti e vestiti sporchi. Il bancone del bar era ancora sporco di sangue nel punto in cui Marley aveva picchiato Cicerone, nessuno era più entrato nello studio per metterlo in ordine e Cesare non sembrava affatto interessato a riprenderne possesso. Solo tre persone all’interno di quel posto sembravano essere motivati da qualcosa: Ulisse voleva tenere la situazione in piedi il più possibile, Lancelot voleva trovare una soluzione, Cicerone voleva un’altra dose.
Aveva fatto morire Adam.
Dopo il primo omicidio, quanto difficili sarebbero potuti esserne altri nove? Sì, se non avessero trovato una soluzione per uscire da lì dentro, li avrebbe uccisi tutti, tranne Eva. Per quanto tempo avrebbero potuto mangiarli, prima che andassero a male? No, avrebbe dovuto legarli tutti e mangiarli uno alla volta, sì, sarebbe partito da Ulisse e Dante, e a quel punto gli altri avrebbero smesso di opporre resistenza, sarebbero diventati tutti come Lucrezia, passivi e disponibili a diventare cibo. Li avrebbe nutriti con la carne di chi veniva ucciso prima di loro, così avrebbe potuto allungare la loro sopravvivenza di quanto? No, avrebbe dovuto partire con i più corpulenti, perché all’inizio ci sarebbero state più bocche da sfamare. Cesare sarebbe stato il primo, e Lucrezia l’ultima. Quanta carne commestibile si può ricavare da un corpo umano, in percentuale, rispetto al peso? Quanta carne può consumare un essere umano in una giornata? Quanto velocemente un cadavere diventa tossico?


Problema: Lancelot ed Eva sono due cannibali con nove prigionieri. Decidono che li mangeranno uno alla volta dividendone la carne con i prigionieri restanti a pranzo e cena. Dato che il 20% del peso umano è quello delle ossa, e calcolando un 15% di scarti (sangue, parti non commestibili, etc), e che il fabbisogno nutritivo di un adulto è 2000 kcal al giorno, e che la carne di maiale (simile a quella umana) ha in media 200 kcal per 100 grammi, quanti giorni durerà la carne del primo prigioniero?
Risposta: Cesare pesa circa 80 kg, il 65% di 80 è 50 circa. Un adulto ha bisogno di mangiare circa 1 kg di carne al giorno, quindi Cesare produrrà 50 razioni. Ogni giorno vengono consumate (9*2) razioni, quindi 18. La carne del primo prigioniero basterà per due giorni e mezzo, e avanzeranno cinque razioni per la sera del terzo giorno. Con un po’ di parsimonia Cesare durerà tre giorni.


Forse avrebbe potuto mangiarli a turno, iniziando dalle gambe per tenerli in vita più a lungo, o conservarli nel freezer dei gelati, ma a che scopo? Stava delirando, Eva non avrebbe mai accettato di prestarsi a qualcosa del genere, e se anche avesse smesso di piovere non ci sarebbe potuto essere futuro per loro due. No, non poteva perderla. Dovevano morire di fame tutti insieme, ma a quel punto il cannibalismo sarebbe diventato inevitabile. E non avrebbe lasciato che Eva assistesse a cose del genere. Sì, l’avrebbe uccisa. L’avrebbe uccisa e poi si sarebbe suicidato, era l’unica cosa che avesse senso in quell’ottica. E se poi avesse smesso di piovere il giorno dopo? Avrebbe dovuto aspettare.
Non poteva accettare di morire di fame, perché il cibo stava finendo a causa di Cicerone ma Cicerone era stato messo a comandare a causa sua, e poi aveva ucciso Adam, aveva fatto deridere Cesare davanti a tutti per la sua omosessualità, aveva fatto rinchiudere Margaret, e poi si chiedeva quanta moralità ci fosse davvero nelle persone che condannano il furto di un gelato e poi deridono un uomo perché va a letto con prsone del suo stesso sesso. Se la meritavano, la pioggia.


Il circolo vizioso della sua mente fu interrotto dai lamenti di Cicerone. Forse, pensò, c’era ancora una soluzione che avrebbe avuto senso. Cicerone voleva la cocaina che Marley aveva lanciato fuori dal bar, ma se avesse smesso di urlare magari lui avrebbe potuto convincere gli altri a liberarlo, e Cicerone avrebbe fatto spontaneamente da cavia per scoprire se la pioggia era ancora un pericolo. Oppure, se si fossero rifiutati di liberarlo avrebbe potuto tentarlo fino a farlo impazzire completamente e convincere gli altri a lasciarlo morire come forma di eutanasia. Magari avrebbero potuto immobilizzarlo  fargli stendere solo una gamba sotto la pioggia. Sì, qualcuno avrebbe certamente acconsentito a quell’idea, doveva puntare su quello. Ma sarebbe stato certamente più sicuro farlo uscire sulle proprie gambe. Abbassò di nuovo lo sguardo sulla scacchiera e catturò il cavallo di Eva con il suo. Lei prese il suo alfiere con la torre e gli sorrise. Lui sorrise di rimando, le aveva catturato un pezzo potenzialmente fastidioso e in cambio le aveva dato il suo alfiere cattivo. Espresse questa considerazione a Eva, spiegandole che un alfiere si chiama cattivo quando è dello stesso colore delle case su cui trovano i pedoni alleati, è un alfiere bloccato dai pezzi amici, incapace di muoversi al meglio. Esattamente come lui in quel momento. Lasciò Eva a pensare alla prossima mossa e scese al piano di sotto. Lei avrebbe potuto dargli matto in due mosse, ma quell’alfiere cattivo lo disturbava e bloccava il gioco, era stato molto più utile come sacrificio.


Si fermò a metà delle scale, osservando l’esterno. Meno di venti passi e sarebbe stato un sacrificio anche lui, gli altri avrebbero scoperto di poter uscire, o avrebbero avuto una bocca in meno da sfamare. L’avrebbe fatto, se non fosse stato per l’idea che Eva potesse restare completamente sola. Ma ormai il suo destino era quello di rimanere al suo fianco, aveva sacrificato troppo per accettare di perderla, anche se aveva dovuto rinunciare ad una parte importante della sua anima. Rivolse uno sguardo a Maria, e sperò con tutto se stesso che Dio non esistesse, perché altrimenti non avrebbe mai potuto avere pietà di lui. Secondo un’ottica religiosa Lancelot aveva sacrificato l’eternità solo per poter passare la sua vita terrena, che era un battito di ciglia in confronto a ciò che seguiva, con Eva. Sicuramente romantico, ma aveva pagato un prezzo troppo alto per un bene che deperisce rapidamente, un altro essere umano. Purtroppo, all’università non esistevano corsi di economia applicata all’eternità, e nella sua ottica di ateo stava facendo la cosa giusta.
Si rimboccò le maniche, un gesto che faceva da anni ogni volta che sapeva di star per giocare una partita impegnativa che richiedeva concentrazione e furbizia, e si avvicinò a Cicerone, afferrandogli la spalla con forza. Il ragazzo si immobilizzò e gli rivolse uno sguardo terrorizzato.
“Non ti preoccupare, non voglio farti del male. Ascoltami, voglio parlare con gli altri per farti liberare, ti piacerebbe?”
Cicerone annuì con forza, lamentandosi. Lancelot allentò la presa sulla sua spalla. “Allora stammi bene a sentire: non riesco più a vederti legato, credo che sia una condizione inammissibile per un essere umano. Sei stato il nostro capo per molto tempo e sei una persona responsabile, dovresti essere autorizzato a decidere per te stesso. Quindi, se ora dimostri di essere una persona responsabile e smetti di lamentarti ti prometto che stasera proporrò agli altri di liberarti, ok?” Il ragazzo sembrò tornare in sé, annuì con aria seria e mormorò: “va bene.” Lancelot gli sorrise con fare amichevole e fece per tornare al piano di sopra, quando sentì una voce chiamare il suo nome.


Pochi minuti dopo, Lancelot sentì le gocce di pioggia cadere sul suo corpo, e capì che era finita. Tutto il suo lavoro gettato alle ortiche per una scommessa andata male. Gli tornarono in mente le parole del vecchio nell'intervista di Eva: Dimostrarci furbi ci fa credere di essere i più furbi in assoluto, e a quel punto iniziamo a sottovalutare i dettagli. Mentre indietreggiava aprì le braccia e digrignò i denti in un sorriso da lupo, accettando la sconfitta e la pioggia con dignità.

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