mercoledì 25 febbraio 2015

Medusa Café, capitolo 8 -
...ma alcuni sono più uguali degli altri

-Sabato, giorno 8-
Adam si era svegliato alle sette e trenta. Aveva guardato sua moglie dormire e le aveva dato un bacio sulla fronte, poi aveva indossato l’orologio e la cintura. Aveva raggiunto Marley in punta di piedi e gli aveva scosso leggermente una spalla, finchè non aveva aperto gli occhi. A quel punto era andato in bagno a lavarsi la faccia e ad osservarsi nello specchio, come faceva ogni mattina a casa sua. L’incubo della pioggia era iniziato esattamente una settimana prima, e non accennava a smettere. Ormai quasi non faceva più caso al suo rumore, e se avesse potuto avere una doccia e un cambio di abiti avrebbe potuto sentirsi a casa anche lì. Una doccia, un cambio di abiti, e suo figlio. Mentre guardava il suo riflesso, si ripeté che non poteva permettersi di pensarci, che doveva focalizzarsi sulle sue responsabilità. Soprattutto dopo gli ultimi eventi era necessario mantenere l’ordine all’interno di quel bar, e cercare di rendere la permanenza di tutti quanti più pacifica e piacevole possibile, anche se era impossibile che qualcuno avesse potuto apprezzarla più di lui. Una settimana prima era un dirigente che, per quanto rispettato all’interno del proprio ufficio, non contava niente nel mondo. Faticava ad arrivare alla fine della giornata senza lasciarsi sovrastare dall’angoscia di non possedere nulla di reale e stava per perdere sua moglie, la vedeva sempre più assente, più lontana, più vuota, e per quanto potesse mostrarsi sicuro di sé quando le diceva che avrebbero superato quel momento, era costantemente terrorizzato; nel giro di sette giorni il mondo si era ridotto a quel bar, e lui era diventato uno dei capi del mondo. Le soluzioni erano cadute dal cielo, c’era bisogno di qualcuno che sapesse comportarsi bene e gestire la situazione, qualcuno come lui. Le cose con Eva erano migliorate da quando avevano avuto modo di passare del tempo da soli nel furgoncino, e ancora di più quando il mondo aveva riconosciuto il suo valore e aveva insistito per avere lui al comando. Ed essere al comando aveva i suoi lati positivi, soprattutto perché lui era stato scelto: nessuno aveva mosso obiezioni quando, contrariamente a quanto stabilito giorni prima, Eva era rimasta a dormire con lui al piano di sotto. Adam avrebbe voluto lasciarla dormire, ma le direttive che lui e Marley avevano ricevuto da Cicerone erano state chiare: tutti sarebbero stati svegliati alle otto e perquisiti per stabilire che nessuno avesse rubato nulla, perché da quel momento il cibo sarebbe stato tenuto tutto sotto chiave da Cicerone stesso. Quando l’aveva comunicato a loro due, Adam era sicuro che Marley stesse per rispondere con uno dei suoi sproloqui sulla dittatura e l’abuso di potere, e invece il ragazzo era rimasto in silenzio, con l’aria a metà tra il perplesso e il contrariato. Una settimana prima Marley era uno studente perfettamente calato nel suo ambiente, convinto di portare avanti una lotta ideale, pensò Adam, uno di quelli che gridano a gran voce sperando di fare qualcosa di importante per il proprio futuro, uno di quei ragazzi che viveva nel sogno della comunità, della ribellione, dell’uguaglianza e della sfida al potere; nel giro di sette giorni era diventato voce e braccia di quello stesso potere, e veniva deriso costatemente per le stesse idee che una settimana prima urlava in coro, abbracciato dalla voce dei suoi coetanei.

domenica 15 febbraio 2015

Medusa Café, capitolo 7 -
Le idi di Marzo

-Venerdì, giorno 7-

Quella sera, intorno alle 21.15
Il silenzio nell’ufficio di Cesare venne interrotto solo dal suono di nocche che battevano sul legno. A sentire quel rumore il padrone del locale trasalì, disorientato nel buio della stanza. Riuscì a bofonchiare un “Chi è?” poco convinto, mentre affondava il volto tra le mani, cercando di riprendere lucidità.
“Cesare, sono io. Posso entrare?”
Si strofinò ancora un secondo il viso con le mani, per poi risponderle sì. A quel punto si diresse lentamente verso lo scaffale, prendendo un altro bicchiere da portare sulla scrivania.
Entrando, Beth rimase spaesata dal buio. Chiuse velocemente la porta e pigiò l’interruttore della luce, illuminando così la figura di Cesare seduta mentre reggeva in mano un bicchiere che sembrava essere stato usato da poco. Lo sguardo corse sulla scrivania, dove troneggiava una bottiglia che conosceva bene.
“Quella non è…”
“Si, è la bottiglia di Bourbon del ‘73. Pensavo fosse il caso di approfittarne, non so quanto tempo avrò per godermela.”
“Ma sei impazzito? Te ne stai qui, al buio, a bere liquore di nascosto. Come se la situazione già non fosse tragica. Se ti scoprono-”
“Già, se mi scoprono. E se la lascio qui e qualcuno scopre che tenevo una bottiglia del genere nascosta nel mio ufficio? Credi che servirebbe a qualcosa dire che la tenevo conservata da quando abbiamo aperto questo posto, e che non ho rubato niente? Finiremmo nella merda comunque, tanto vale toglierla di mezzo prima che se ne accorgano, no?”
Beth scosse la testa, rimanendo in silenzio. Si avvicinò alla finestra, osservando il fiume d’acqua che circondava il locale e la pioggia che continuava imperterrita. Cesare la squadrò per un istante e notò sul suo volto un’espressione nervosa. Sorrise tra sè e sè, immaginando quanto potesse essere stressante quella situazione anche per lei, e per un istante provò tenerezza nei suoi confronti.
“Come mai non hai mangiato niente stasera?” chiese improvvisamente, rompendo di nuovo il silenzio.

giovedì 5 febbraio 2015

Medusa Café, capitolo 6 -
Dura lex, sed lex

-Giovedì, giorno 6-


Tra le ore 21:00 e le ore 24:00
Lancelot era con le braccia congiunte e le gambe leggermente divaricate. La camicia, la cui pregevole fattura era ormai nascosta da aloni di sudore e qualche inevitabile macchia di caffè, fuoriusciva scompostamente dai pantaloni. Eppure aveva investito un’evidente cura nell’ arrotolarsi le maniche, sembrava che gliel’avessero cucita addosso e le pieghe fossero state fatte dai migliori sarti del mondo. Cicerone lo apprezzava soprattutto per questa sua naturale predisposizione ad apparire bene anche in condizioni estreme come quelle, per il resto gli sembrava che, quel giorno in particolare, stesse parlando un po’ troppo. Dopo aver riflettuto  l’uomo ben vestito aprì bocca.
“Abbiamo bisogno di un volontario” disse accarezzandosi con due dita la barba che ormai cresceva incolta. “Una persona che garantisca il bene comune, una persona onesta” continuò per poi fermarsi qualche secondo e guardare fuori dalla finestra la pioggia che come un incubo perseverava. “Il problema principale è sempre questa cazzo di pioggia” disse indicando con una mano piatta fuori dalla finestra, “non abbiamo tempo da perdere a giocare a guardie e ladri, dobbiamo pensare a come sopravvivere, non credete?” concluse con sarcasmo.