venerdì 26 dicembre 2014

Medusa Café, capitolo 2 -
A Cesare quel che è di Cesare

-Domenica, giorno 2-


D: Come è iniziato tutto?
R: Come iniziano tutte le storie in cui gli uomini superano i propri limiti. È iniziato tutto per una donna. È solo per una donna che un uomo onesto si trasforma in un assassino, un uomo cinico in un sognatore, un cartolaio in un miliardario.


Il Medusa Café era un normale bar, con un bancone e dei tavolini, sedie e divanetti su cui alcune persone avevano passato la notte. Altri tavoli e divani più comodi erano nella sala al piano di sopra, che quella mattina sembrava un ospedale di guerra o un campo profughi. Al piano terra, dietro il bancone, c’era una porta chiusa a chiave che portava alla dispensa e all’ufficio di Cesare, in cui lui aveva passato la notte da solo. La porta d’ingresso era coperta da un gazebo, sotto il quale c’erano sedie e tavoli bagnati, con consumazioni abbandonate dal giorno prima. Nessuno si era preso la briga di pulirli o di portarli dentro, siccome la pioggia non sembrava aggredire gli oggetti come faceva con gli esseri umani. Dall’altro lato del gazebo, esattamente di fronte alla porta d’ingresso, il furgoncino delle consegne, abbandonato a se stesso, chiuso. E intorno, il grigiore e il rumore della pioggia. Gli edifici dall’altro lato della strada si distinguevano a malapena, ed Eva guardava distrattamente fuori dalla porta, stringendo in mano una vecchia rivista. Se fosse stato un quadro, pensò, si sarebbe chiamato Pioggia grigia su sfondo grigio. Era tutto così grigio che la pioggia non si distingueva, ma se ne percepivano solo gli effetti. Il suono, incessante e costante. La strada, che sembrava un fiume in piena. Le gocce, che sbattevano contro le finestre. Gli schizzi delle gocce che cadevano nel fiume in piena, alimentandolo. I pantaloni del ragazzo delle consegne, incastrati contro un palo del gazebo. Il suo corpo era stato devastato dall’acqua, ed era scivolato fuori dai vestiti. Era diventato parte dell’acqua.
Nessun altro era sveglio, erano andati a dormire stanchi e avevano faticato a prendere sonno, troppo turbati dall’inesplicabilità degli eventi del giorno prima. Alla fine avevano ceduto, e ora sembrava che le loro menti non volessero farli risvegliare. Esistono poche cose stancanti come cercare di razionalizzare l’impossibile, e tutte quelle persone preferivano sognare che fare i conti con la realtà. Il sogno era diventato per loro, con tutta probabilità, più plausibile della vita reale. Eva si era svegliata presto come aveva sempre fatto, e aveva cercato di telefonare alla scuola di suo figlio. Il giorno prima le avevano assicurato che i bambini sarebbero rimasti lì finchè ce ne fosse stato bisogno, ma non era bastato a farla sentire al sicuro. Avrebbe voluto sentire la voce di suo figlio, per assicurarsi che stesse davvero bene, per poterlo tranquillizzare, dirgli che lei e suo padre stavano bene, ma il cellulare non prendeva più. Guardandosi intorno aveva trovato una vecchia rivista fra i mobili del Medusa Café, con una copertina inconfondibile, che lei non avrebbe mai dimenticato. Un vecchietto dall’aria sorniona sorrideva verso la macchina fotografica, con il suo nome scritto a caratteri cubitali. John Lochness, intervista esclusiva. Eva aveva letto quell’intervista centinaia di volte, perché era stato il suo primo pezzo di successo. Quell’intervista dai contenuti controversi le aveva cambiato la vita, inserendo di diritto il suo nome fra le migliori penne della rivista. A venticinque anni John Lochness era il proprietario di una piccola cartoleria. A ventisei un giocatore di borsa. A trentadue un imprenditore di successo. A quarantacinque il proprietario di un’importante casa automobilistica. A cinquanta uno degli uomini più ricchi del pianeta. A cinquantasei un pensionato che viveva della rendita dei suoi terreni e si godeva la sua famiglia. A ottantanove, un vecchietto dall’aria sorniona, vedovo ma felice, intervistato da una giornalista da quattro soldi che avrebbe fatto successo grazie a lui. Eva abbassò lo sguardo sulle pagine della rivista.


D: Mi parli di questa donna.
R: Ricordo la prima volta che l’ho vista, mi ha chiesto informazioni in un inglese traballante. Era solo una turista qualunque, ma mi è bastato guardarla negli occhi per capire che l’avrei amata per tutta la vita. L’ho portata in giro, l’ho invitata a cena, e due giorni dopo lei è andata via. Avevo solo il suo numero di telefono, e ho capito che dovevo ritrovarla. Mi sarei trasferito nel suo paese, l’avrei ritrovata ad ogni costo, ma per farlo mi servivano soldi. Per un volo intercontinentale, per sopravvivere, per pagarmi i corsi di lingua necessari a comunicare bene con lei, per presentarmi come qualcosa di meglio di uno straccione emigrato che inseguiva un sogno. La cartoleria non mi avrebbe fatto mai guadagnare quello che mi serviva, allora l’ho venduta e ho iniziato a studiare la borsa. Un anno e mezzo dopo avevo quasi raddoppiato il mio capitale.


Eva sentì dei rumori alle sue spalle, era Cesare che chiudeva la porta del suo ufficio e armeggiava con la macchinetta del caffè. Lei gli si avvicinò e gli diede il buongiorno.
“Questo rumore” rispose lui indicando l’esterno, “è il peggior buongiorno che potessi volere. Quasi speravo che avesse smesso. Caffè?”
“Sì, caffè. Amaro. E prendo anche una brioche, quant’è?”
Eva pagò, e i due continuarono a scambiare chiacchiere di circostanza, come se fosse una giornata qualunque. Era come se gli eventi del giorno prima fossero stati solo una fantasia collettiva, e loro potevano permettersi di essere complici di quella bugia, finchè non si fossero svegliati tutti gli altri. Finché non sarebbe stato necessario fare i conti con la realtà. Cesare le chiese se voleva svegliare suo marito, ma Eva scosse la testa e aggiunse che preferiva lasciarlo dormire. In realtà voleva che continuassero tutti a dormire, per non dover fare i conti con la propria realtà. L’unica cosa che le impediva di pensare alla pioggia erano due degli uomini che dormivano al piano di sopra. Uno era Adam, suo marito. Anche lui aveva capito che qualcosa fra loro non funzionava più come una volta, l’aveva capito mesi dopo ma aveva sicuramente reagito meglio di lei. Si era rimboccato le maniche, le aveva parlato a cuore aperto, le aveva stretto le mani e le aveva detto che qualunque cosa ci fosse avrebbero potuto risolverla. Era una cosa che capitava a molte coppie, le aveva detto, si erano solo lasciati sopraffare dal lavoro e dalla routine. Aveva preso giorni di ferie, cercava di passare del tempo con lei, di fare cose nuove. L’aveva svegliata con un bacio il giorno prima e l’aveva portata a fare una passeggiata, mano nella mano come due adolescenti al primo amore. L’aveva portata a fare colazione al Medusa Café, con caffè amaro e brioche, commentando sui passanti. Probabilmente quel modo di fare avrebbe funzionato, se Eva non avesse avuto un altro pensiero a distrarla, a spingerla a considerare la presenza di alternative. Quel pensiero era Lancelot. L’uomo che la mattina prima era seduto da solo ad un tavolino alle spalle di Eva. Un produttore televisivo che lei aveva intervistato, un uomo a cui aveva concesso di sedurla. Un uomo con cui era stata a letto una volta, e poi un’altra, e poi ancora, regolarmente, per mesi. Voleva che lasciasse Adam per lui, e per un’angosciante coincidenza si trovava nel loro stesso bar il giorno in cui la pioggia aveva deciso di tagliare ogni possibile via d’uscita. Non voleva che si svegliassero, non voleva fare i conti con la realtà.


D: E poi è arrivato il grande successo. Come è arrivato così in alto in così poco tempo?
R: La mia fortuna in borsa è durata poco, la crescita ha iniziato a diminuire, avevo abbastanza soldi per andare da lei ma non abbastanza per potermi permettere uno stile di vita adeguato ai miei bisogni. Ho comprato una piccola azienda sull’orlo del fallimento e l’ho rivenduta a prezzo maggiorato. Non è stato difficile, ho semplicemente convinto il compratore che fosse un ottimo affare. Ormai so che mi resta poco da vivere e posso essere sincero. Ho lavorato in cartoleria, ho giocato in borsa, ho gestito aziende, ma nella vita non sono stato altro che un bugiardo. Non ho fatto altro che mentire alle persone, far credere loro ciò che volevo io. Non vado fiero delle mie azioni, ma penso che il fine giustifichi i mezzi. Ho manipolato le persone per portare avanti i miei piani, e sono stato fortunato a non essere mai scoperto. La mia ascesa è stata basata solo sulla truffa e sull’imbroglio dal primo momento, e so che ormai è troppo tardi perché qualunque governo decida di incriminarmi. Non riuscirebbero a portare a termine il processo prima che io muoia. Le bugie e gli inganni sono un’arma potente, finchè funzionano. Ma basta un solo passo falso e ci si ritorcono contro, implacabilmente. È per questo che ho sempre mentito sui mezzi, ma mai sul fine. Con mia moglie sono sempre stato completamente onesto. La verità è fondamentale nelle questioni importanti.


Anni dopo, le parole di John Lochness tornavano a tormentarla. La verità è fondamentale. E a breve Eva avrebbe dovuto sciogliere i nodi e fare i conti con la realtà. La sua unica speranza era che la pioggia smettesse di tenerli bloccati in quel bar.
Pochi minuti dopo anche gli altri iniziarono a svegliarsi. Prima quelli che avevano dormito al piano di sotto, raggiunti dall’odore del caffè e dal passo pesante di Cesare, poi quelli del piano di sopra, richiamati dal chiacchiericcio di chi era già sveglio. Beth prese posto dietro il bancone e iniziò a servire la colazione a tutti come se fossero dei regolari clienti in una mattina come le altre. Adam raggiunse Eva e la abbracciò, Lancelot non li degnava di uno sguardo e parlava con Cesare. Eva si sentì rassicurata dal suo comportamento, sembrava non voler interferire in alcun modo. La maggior parte delle persone sembrava tranquilla, nessuno voleva fare i conti con la realtà. Camminavano per il bar senza meta, cambiavano posto in continuazione, osservavano sempre gli stessi dettagli, si rivolgevano a Cesare con domande di ogni tipo, dai prezzi delle bevande a domande sulla sua vita peronale, tutte poste con un senso di riverenza che ricordava quello che i bambini usano per rivolgersi ai maestri elementari. Eva era sicura di aver addirittura sentito qualcuno chiedergli se potesse usare il bagno. Cesare rispondeva a tutti con il suo fare autoritario e burbero, liquidando con poche parole le domande sui prezzi e ignorando completamente quelle personali.
Solo Marley dava segni di irrequietezza, borbottava, non stava mai fermo, continuava ad elencare tutte le cose che secondo lui non combaciavano fra la realtà e i comunicati ufficiali, citava articoli letti su internet e si lamentava del governo. Nessun cellulare aveva segnale, e la radio continuava a trasmettere le solite canzoni. Nelle ore di attesa che precedevano il pranzo, gli abitanti del bar facevano conversazioni vuote. Sentì Dante, lo scrittore, commentare:
“È da stamattina che facciamo conversazioni di circostanza, e nessuno ha ancora fatto commenti sul tempo. Almeno questa ce la siamo evitata.”
Eva si ritrovò bloccata in un’estenuante conversazione con Maria, un’anziana signora armata di bibbia che continuava a ripeterle che bisognava avere fede, che era tutto parte del piano di Dio e che sarebbe andato tutto bene se avessero dimostrato di credere. Si guardava intorno spazientita, cercando una via di fuga, e si rallegrò quando vide un’altra donna avvicinarsi al tavolo. Era sotto i quaranta ma aveva il volto scavato dalla stanchezza e sembrava molto più vecchia, probabilmente era sotto stress per la pioggia. Sedette al tavolo con loro e le si presentò come Madeleine, strinse la mano di Maria e le chiese di pregare insieme, e a quel punto Eva si alzò per raggiungere suo marito. Prima che potesse raggiungerlo, la musica si interruppe e la voce di un conduttore radiofonico prese il suo posto:
<<Buone notizie! Il governo ha rilasciato un comunicato ufficiale, stanno lavorando ad una soluzione. Il problema della pioggia verrà risolto entro pochi giorni al massimo, quindi invitiamo tutti i nostri ascoltatori non solo a non farsi prendere dal panico, ma a restare rilassati. Non cercate di uscire sotto l’acqua neanche se avete ombrelli o altri oggetti a proteggervi, ci è stato detto che sono inefficaci, gli effetti della pioggia sono gli stessi. Rimanete al chiuso, non uscite in nessun caso. Ci hanno assicurato che la situazione è sotto controllo e noi ci fidiamo, anche perché qui nei nostri studi abbiamo solo un distributore automatico e abbiamo quasi finito le monete.>>
Il conduttore accompagnò la sua battuta con una risata forzata, ma all’interno del bar nessuno sembrava dell’umore giusto per apprezzare il suo tentativo di sdrammatizzare. Attesero che ripetesse un paio di volte gli inviti a mantenere la calma e facesse qualche altra battuta infelice, quindi ritornarono alle loro attività quando la musica ripartì. A quel punto Eva vide suo marito andare in bagno, si guardò intorno e trovò Lancelot al suo fianco, le maniche della camicia erano risvoltate e gli lasciavano le braccia scoperte. Lei notò un graffio su uno dei suoi avambracci, e ricordò di essere stata lei a procurarglielo.
“Posso parlarti in disparte?”
Eva annuì e lo seguì sulla porta d’ingresso. Lui si manteneva freddo e distante, e lei non aveva difficoltà a credere che chiunque li avesse visti dall’esterno avrebbe pensato a due sconosciuti che commentano gli eventi.
“Lo so che è una situazione complessa. È paradossale che ci siamo ritrovati tutti qui, con tuo marito. Per non parlare della pioggia, e del ragazzo delle consegne, ieri. Non voglio farti pressioni, ma dobbiamo risolvere questa situazione una volta per tutte. Non posso vederti abbracciare lui dopo quello che abbiamo fatto insieme, dopo quello che mi hai detto. So che posso darti ciò di cui hai davvero bisogno, ma devi essere disposta a fidarti di me. Non te ne pentirai.”
Eva lo guardò spaventata.
“Lo so. Ma ora è diventato tutto troppo difficile. Ho pensato a quello che ci siamo detti, e stavo per farlo. Stavo per farlo davvero, stavo per lasciare Adam. Ma ora è… non lo so. Ora mi sembra tutto così complicato.”
“È semplice invece. Devi solo prendere una decisione. Pensaci bene. A me va bene tutto, tranne restare nel limbo.”
E le strizzò l’occhio sorridendole con dolcezza, poi si accese una sigaretta e si voltò verso l’esterno. Mantenendola fra le labbra srotolò le maniche della camicia, e nel farlo sfiorò un paio di volte la mano di Eva. Lei non la allontanò. Lancelot fece qualche passo fuori, sotto il gazebo, e sedette sull’unica sedia che sembrava asciutta. Eva tornò nel bar, cercando suo marito.


D: E poi?
R: Mi scusi, ha ragione, sto divagando. Poi ho trovato la donna che cercavo e l’ho convinta a sposarmi. È stato in quel momento che ho deciso di smettere con le menzogne, con le truffe, con gli inganni. Era un rischio che potevo correre finchè ero da solo, ma non volevo che lei restasse coinvolta nelle conseguenze di uno dei miei errori. Mi sono serviti anni per sciogliere tutti i nodi, per far quadrare i bilanci, per ripagare i favori e far sparire ogni traccia, per uscire completamente dalla gabbia che mi ero creato intorno. La bugia può essere un alleato prezioso, ma non deve mai essere fine a se stessa. Avevo soldi, potere, e la donna della mia vita. Molti uomini a quel punto iniziano a strafare, fanno il passo più lungo della gamba e cadono in rovina. Pensano che solo perché sono in grado di fare qualcosa debbano farla, si sentono legittimati dalle possibilità quando dovrebbero sentirsi legittimati dal bisogno. Ma non io. No, perché io avevo un obiettivo da raggiungere, e non ho mai confuso il mezzo con il fine. Raggiunto il fine, ho abbandonato il mezzo. Ho riconosciuto i miei limiti e non ho mai cercato di valicarli. Perché se c’è una cosa che rovina gli uomini, è la sensazione di potere. Quando si ha tutto, ci si crede invincibili. Dimostrarci furbi ci fa credere di essere i più furbi in assoluto, e a quel punto iniziamo a sottovalutare i dettagli. Ma io no, perché ho sempre saputo ciò che volevo.


A turno, tutti gli abitanti del Medusa Café si avvicinarono al bancone e comprarono qualcosa da consumare per pranzo. Panini, gelati, dolci, buste di patatine, barrette di cioccolato e caramello, ognuno mangiava ciò che preferiva e Cesare rilasciava scontrini. Eva sentì i tre studenti che discutevano, in fila dietro di lei. Marley, agitato come sempre, rivolgeva domande all’amico.
“Ci fanno pagare per mangiare? È inumano! Cosa succederà quando qualcuno finirà i soldi? Solo i ricchi potranno mangiare? Esistono modi migliori per gestire questa situazione, ne sono sicuro. Cosa ne pensi, Cicerone?”
L’altro studente rispose con tranquillità, aveva un tono di voce calmo e rassicurante.
“Non ti preoccupare, Marley. Sono sicuro che si troveranno dei metodi migliori per far funzionare la cosa. E come ti ho detto prima, non abbiamo nessun indizio su quanto durerà. Se non dovesse finire nei tempi annunciati dalla radio ci sarà bisogno di riconsiderare tutto, e sicuramente si parlerà anche di questo. Lucrezia, tu hai deciso cosa mangiare?”
La radio trasmetteva musica allegra, un chiaro tentativo di distrarre le persone dalla catastrofe che si era scatenata intorno a loro, e stranamente sembrava funzionare. Adam sembrava ringiovanito, era probabilmente l’unico ad essere felice della loro situazione, si comportava in modo più spensierato, e dopo pranzo le confessò che quella condizione di immobilità forzata lo aveva in un certo senso liberato dalle preoccupazioni che secondo lui causavano tutti i loro problemi. Erano loro due soli sotto il gazebo, lui giocava con Raider e le disse che era preoccupato per loro figlio e per la situazione in sé, ma in fondo c’erano dei lati positivi. Lui era a scuola, sorvegliato dagli insegnanti, e loro erano bloccati in un posto pieno di cibo e con persone oneste ed educate. Avevano anche un cane, aggiunse con un sorriso, mentre grattava l’orecchio di Raider.
“Forse questa situazione è quello che ci voleva. Non siamo più una coppia sposata con un figlio e tanti problemi, siamo solo due persone che si amano.”
Eva lo abbracciò in silenzio, trattenendo le lacrime. Alzò la testa oltre la sua spalla e vide Lancelot che parlava con le due fanatiche. Lui incrociò il suo sguardo con un alone di tristezza negli occhi e si voltò altrove. Lo guardò muovere qualche passo verso il bancone e scambiare qualche parola con Beth, poi immerse di nuovo la fronte nel petto di Adam e inspirò il suo profumo.
La radio era diventata l’argomento principale di conversazione per tutte le persone che non volevano fare i conti con la realtà. Gli abitanti del bar commentavano ogni canzone pur di non fare i conti con la realtà, e gli unici che si astenevano da quell’attività erano Dante e Ulisse, il mendicante. Stavano seduti fuori, con Raider accucciato sotto il tavolo, e parlavano sommessamente. Nessuno si era preoccupato di avvicinarsi ad Ulisse, ma a lui sembrava andare bene così, e quando non parlava con il suo amico scrittore parlava con se stesso. Cesare e Beth parlavano con l’insegnante di matematica, di cui Eva non ricordava il nome, quando ad un certo punto il proprietario del bar richiamò l’attenzione di tutti. Era quasi il tramonto.
“Statemi a sentire. Questo è il mio bar, e quindi fino ad ora vi ho fatto pagare per il cibo. Ma nessuno di voi ha chiesto di stare qui e abbiamo bisogno di mangiare tutti, indipendentemente da quanti soldi abbiamo con noi.”
Il suo sguardo vagliò tutti i presenti, soffermandosi a lungo su Ulisse e Marley. Sembrava molto più rude rispetto all’uomo con cui Eva aveva chiacchierato quella mattina, e lei pensò che quello doveva essere il suo modo di mantenere l’autorità di cui sembrava essere stato investito.
“Quindi finché non sarà tutto risolto il cibo è di tutti. Anche perché ora andremo a prendere quello che c’è nel furgoncino, e non ho intenzione di vendervi del cibo che non ho comprato. Vi sto venendo incontro, cercate di non farmi pentire di questa decisione. Beth, vieni con me. No, Margaret, non ti preoccupare, ce la facciamo da soli. ”
L’insegnante rimase ad osservarli mentre uscivano dal bar, dirigendosi verso il furgone abbandonato. Cesare avanzava con una spranga in mano mentre Beth chiedeva a chi era fuori di allontanarsi dal furgone.  Prima che potese colpire la porta, Dante lo fermò e richiamò la sua attenzione verso i pantaloni di Tony, ancora impigliati nel palo del gazebo, e gli fece notare che forse le chiavi erano ancora al loro interno. Si alzò dal tavolo e iniziò a frugare nelle tasche, mostrando poco dopo il mazzo di chiavi con aria trionfante.
“Peccato che non possiamo raggiungere la porta del guidatore. In ogni caso questa non ci servirà.”
Cesare posò la spranga e invitò Dante ad aprire il retro del furgone e ad aiutarli con gli scatoloni. Pochi minuti dopo, anche Cicerone si avvicinò per offrire aiuto, ma Cesare sembrava stizzito tutto d’un tratto.
“Spostati. Non è una festa, dove più siamo e più ci divertiamo. Ce la facciamo da soli, se ci serve una mano ti chiamo.”
Durante la cena, nella quale ognuno si servì a volontà ignorando le raccomandazioni di Cesare, rimasero tutti in silenzio. Ogni tanto qualcuno guardava avvilito verso l’esterno, forse avevano capito che era il momento di fare i conti con la realtà. Ore dopo, seduta su un divanetto al piano superiore con il braccio di Adam intorno alle spalle, Eva si sentì felice. Abbassò di nuovo lo sguardo sulla rivista.


D: C’è qualche ultima cosa che vuole dire ai nostri lettori? Un consiglio?
R: Cosa? Forse dovrei dire loro di non mentire, di non ingannare, di essere onesti. Ma non lo dirò, perché non ci credo. E so che non sarei credibile se lo dicessi. La vita è una guerra, ed è lecito utilizzare ogni arma a nostra disposizione non solo per sopravvivere, ma per vincere. La vita del bugiardo, però, è piena di rischi. Ogni bugia, ogni inganno, ogni manipolazione, è una nuova scommessa. E sono tutte scommesse in cui ci si gioca tutto. Bisogna sapere quando smettere. Ad un certo punto bisogna abbandonare la passione del rischio e godersi i frutti del proprio lavoro, con sincerità e trasparenza. Se c’è qualcosa di cui sono sicuro, è che chi vive con la paura di essere scoperto non può essere felice.


Eva si alzò dal divano e si voltò verso suo marito.
“Vado in bagno. Non c’è bisogno che mi aspetti alzato.”
Quando tornò, lui era già addormentato. Si sedette su una sedia lontano da lui e dal posto che le aveva conservato e chiuse gli occhi, ripetendo quelle parole nella sua mente.


Chi vive con la paura di essere scoperto non può essere felice.

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