lunedì 15 dicembre 2014

Medusa Café, capitolo 1 -
Mezzogiorno di pioggia

-Sabato, giorno 1-

“Che giornata di merda!”
Tony scese dal furgone, imprecando. Le ultime ore erano state particolarmente stressanti, a cominciare da quella chiamata che lo aveva svegliato, e gli impegni di lavoro ed il traffico infernale avevano soltanto peggiorato le cose. Si passò le mani tra i capelli, cercando di calmarsi. Ancora poche consegne, provò a ripetersi, ancora poche consegne e poi sarà sabato anche per me.
Afferrò la maniglia del bagagliaio e infilò le chiavi nella serratura, aprendolo. Diede un’occhiata al contenuto, leggendo sulla lista la merce che doveva consegnare, mentre alle sue spalle si avvicinava un uomo di mezza età.
“Dio santo, Tony, dovevi essere qui mezz’ora fa!”
“Andiamo, Cesare, lo sai anche tu che cazzo di traffico c’è. Piuttosto perché non vieni qui a darmi una mano?”
Il proprietario del Medusa Café si mise a borbottare qualcosa, ma Tony non ci fece caso più di tanto. Era abituato ai rimproveri di Cesare e sapeva che era molto più affabile di quel che sembrasse a prima vista. Prese un paio di casse ed entrò nel locale, lasciandole ai piedi del bancone. Fece un cenno con la testa alla ragazza dall’altro lato del bancone, che gli rispose con un sorriso amichevole mentre finiva di rassettare i ripiani. Cesare arrivò poco dopo, portando il restante delle casse con sé.
“Di’ un po’, ma è così difficile non parcheggiare sotto il gazebo? Devo aspettare il giorno che lo butti a terra per sperare che ti togli il vizio?”
“Beh, per il momento non è successo, no? Rilassati, Grande Capo, lo sai che so essere responsabile, a modo mio.”
“Si, certo, come no.”
A quel punto Cesare oltrepassò il bancone, imboccando la porta che conduceva al suo ufficio. La cameriera sorrise divertita.
“Dovresti smetterla di provocarlo così tanto, Tony. Se lo fai innervosire sono io che me lo sorbisco.”
“Ma sì dai, lo sappiamo entrambi che tempo due secondi e se ne sarà dimenticato. E poi lo so  che ti diverti anche tu così.”

“Sicuramente, guarda.”
Beth rise, mentre finiva di sciacquare le tazzine. Tony sorrise a sua volta, quindi iniziò a compilare il modulo dell’ordine. Le consegne erano quasi finite, per cui prima se ne liberava, prima poteva tornare a casa a farsi una doccia e, già che c’era, riposarsi un poco.
“Allora, ti fermi per un caffè o vai di fretta?”
“No grazie, non vedo l’ora di tornare a casa, quindi finisco questa consegna e me la squaglio. Firmi tu il certificato?”
“Si, tranquillo, passami il foglio.”
Le passò il modulo, indicandole dove firmare, quando un improvviso scrosciare distolse la sua attenzione. Lanciò uno sguardo fuori e vide che il cielo si era completamente oscurato, dando vita ad una pioggia fittissima.
“Ma porca troia, fino  due secondi fa c’era un sole che spaccava le pietre! Sai che traffico troverò adesso?”
“Dai, adesso non ci pensare. Magari tra un paio di minuti spiove.”
“Sì, certo, con la fortuna che mi ritrovo poi…”
“Su, su, prendi qui, offre la casa.”
Beth gli passò una tazza di caffè fumante, facendogli l’occhiolino. Tony sospirò, quindi prese la tazza, ringraziando. Afferrò una bustina di zucchero e ne versò il contenuto nella bevanda, mescolando con un cucchiaino.
“Allora, come vanno le cose ultimamente?”
“Mah, tutto a posto, Tony, i soliti discorsi. Si lavora, alla fine.”
“Non si è più fatto sentire?”
“No, ma alla fine meglio così. Ho già troppi pensieri per la testa. Tu che mi dici, invece?”
“Guarda, sono un po’ stressato ultimamente. Ho alcune situazioni tra le mani e devo vedere bene come gestirle. Ma, per il resto, tutto a posto, esco tutte le sere, direi che non mi posso lamentare.”
“Che tipo di situazioni?”
Tony sorrise, notando lo sguardo incuriosito negli occhi di Beth. Fece un sorso di caffè, assaporando la bevanda lentamente, come per aggiungere quel tono di mistero alla conversazione.
“Magari uno di questi giorni te ne parlerò” disse quindi, sorridendo. Beth sbuffò, delusa,quindi si rimise ad asciugare le tazzine.
“Visto che ci sono, c’è qualche faccia conosciuta oggi?”
“Ti dirò, giusto un paio di persone. C’è Dante, lo scrittore, che sta fuori, sotto il gazebo, lo avrai notato sicuramente entrando. Credo di aver visto anche Margaret di sopra, di fronte alle scale. Ci sono anche dei ragazzi che ogni tanto passano di qui. Il resto è tutta gente che non conosco.”
“Ti sei dimenticata di Ulisse, noto.”
Fece un cenno con la testa alle sue spalle, dove un barbone era seduto ad un tavolino, visibilmente stralunato, con in mano quello che sembrava un bicchiere di rum.
“Vabbè, lui era scontato che ci fosse” disse Beth con un tono infastidito. “A volte mi chiedo perché Cesare gli permetta di entrare qui dentro. Viene qui, si ubriaca, parla anche da solo. Avesse almeno un buon odore."
“Esagerata. E poi parli tu, che fai stare quel sacco di pulci qui dentro.”
Tony indicò il cane che se ne stava dietro al bancone, un randagio che ogni tanto passava da quelle parti.
“Ma Raider non dà fastidio a nessuno. E poi mi vuole bene.”
Tony evitò di risponderle, preferendo tenere i suoi pensieri per sé. Navigando su Internet aveva letto del concetto di transfer emotivo, o almeno così ricordava che si chiamasse. Leggendole si era convinto che Beth si fosse affezionata a quel cane per evitare di affrontare la delusione per persone a cui aveva voluto bene in passato, insomma una di quelle teorie che aveva sempre bollato come cazzate campate in aria. Almeno fino ad allora. Per cui, seppur fosse convinto che più che a lei il cane fosse affezionato al cibo che gli dava, preferì limitarsi ad annuire. E, in fondo, non erano neanche affari suoi. Decise quindi di guardarsi intorno, dando prima uno sguardo fuori, nella speranza che stesse spiovendo, ma notò , con suo sommo disappunto, che la pioggia si era solamente infittita. Soffocò una bestemmia, vedendo all’angolo, vicino alla porta, due signore che se ne stavano con un rosario in mano, e mancava soltanto una discussione con delle zitelle fanatiche a peggiorare ancora quella giornata. Stava per soffermare la sua attenzione su di loro, quando il suo sguardo venne rapito da un bel paio di chiappe sode che ondeggiavano verso le scale.
“E di un po’, di quella lì non sai niente?”
“No, mi pare di non averla mai vista prima.”
Tony si sfregò le mani, alzandosi.
“Sai che ti dico allora? Adesso vado a presentarmi.”
“Attento a quello che fai, Tony, che ci metti nei guai!”
“Non ti preoccupare, Beth” disse, fermandosi sulle scale, “lo sai che quando voglio so essere un gentleman, no?”
“Si, certo. Vai, ti aspetto qui.”
Le fece l’occhiolino, quindi salì al piano di sopra. Diede uno sguardo veloce, per vedere dove fosse seduta. Sulla sinistra c’era Margaret a bere il suo solito tè dai sapori strani. Fece in modo di non incrociarne lo sguardo, così da non essere costretto a salutarla e a perdere altro tempo. Continuò a passare in rassegna la stanza finché non la vide sul divanetto in fondo a destra, oltre il tavolo dove due ragazzi che sembravano studenti stavano parlando tra di loro. Tirò fuori il suo miglior sorriso e si avvicino al tavolino della ragazza, sedendosi vicino a lei.
“Ehilà, splendore, spero di non disturbarti se mi siedo qui.”
La ragazza lo fissò, sembrava presa alla sprovvista. Prima che potesse dire qualcosa, Tony incalzò.
“Permettimi di presentarmi, mi chiamo Tony, vengo qui spesso per lavoro. Non mi sembra di averti mai vista da queste parti, come ti chiami?”
“…Lucrezia.”
“Lucrezia, perfetto. Come ti dicevo, non mi sembra di averti mai vista da queste parti, è la prima volta che passi, giusto?”
“Beh, sì, ne avevo sentito parlare all’università e avevo deciso di farci un giro…”
“Ah, quindi sei una studentessa. Una volta ho provato anche io a frequentare l’università, ma dopo un annetto ho deciso di lasciar perdere. In fondo non faceva per me. Cosa studi di preciso?”
“Studio lingue da un paio-”
“Che combinazione, anche io! Spagnolo, per l’esattezza. L’ho sempre trovata una lingua particolarmente sensuale, e poi qualche anno fa andava di moda.”
“Sì, certo. Senti, scusami, ma ora dovrei proprio andare.”
La ragazza prese la borsa e fece per alzarsi, ma Tony le afferrò il braccio, trattenendola.
“E dai, piccola, già te ne vai? Resta un altro po’, giusto il tempo di un paio di chiacchiere-”
“Amico, hai sentito cosa ha detto, no? Lasciala stare, non è interessata.”
Uno dei due ragazzi si era avvicinato al tavolino. Tony lo squadrò un istante, infastidito. Non pensava che potesse essere una minaccia, anche se sicuramente sembrava più sveglio dell’amico subito dietro. Era quasi tentato di metterlo a posto, ma aveva ancora molte cose da fare e in fondo non valeva la pena di creare problemi sul posto di lavoro. Fece una risata.
“Rilassati amico, io e la signorina stavamo solo scambiando due parole. Ecco, lasciata, visto? Tutto sistemato.”
Si alzò sorridendo, le mani in alto, come per discolparsi. Il ragazzo sembrava leggermente infastidito dal suo atteggiamento, ma Tony non ci fece caso più di tanto. Si girò verso la ragazza, che lo guardava diffidente. Prese quindi un fazzoletto dal tavolino e incominciò a scrivere.
“Ecco” disse porgendole il pezzo di carta, “nel caso in cui avessi voglia di divertirti, fammi uno squillo.”
Le fece l’occhiolino, poi si girò, ignorando lo sguardo disgustato della ragazza. Se ne torno quindi al bancone di Beth, al piano di sotto, ridendo soddisfatto. La cameriera lo guardò con disappunto.
“Spero che tu non abbia creato troppi problemi lì sopra. Lo sai che se la gente si lamentasse sarebbe la volta buona che Cesare ti cacci a calci in culo.”
“Tranquilla, non succederà nulla del genere. Piuttosto, sai dirmi che ore sono?”
“Certo, è mezzogiorno e un quarto.”
“Porca puttana, è tardissimo, devo muovermi.”
“Ma sta diluviando.”
“Fa niente, sono già in ritardo con la prossima consegna.”
Cesare uscì in quel preciso momento dal suo ufficio, giusto in tempo per sentire l’ultima frase.
“Perlomeno non lo fai solo con noi, guarda. Ti accompagno fuori.”
Si incamminarono entrambi, uscendo dal bar. Tony fece un cenno a Dante, che stava seduto con un quadernetto in mano fissando il vuoto, quindi diede un ultimo sguardo al carico. C’erano delle casse di prodotti vari, tra cui qualcuna contenente delle birre da portare ad un bar non troppo lontano da lì. Aguzzò un po’ la vista e vide un’ultimo scatolo da consegnare a Cesare, dietro ad un contenitore pieno di barrette dall’involucro dorato. Prese l’ultimo pezzo della consegna e lo porse al proprietario del Medusa Café, scusandosi per la dimenticanza.
“Allora ci vediamo lunedì mattina.” Gli disse, cercando nelle tasche le chiavi del furgoncino. L’uomo lo salutò con un cenno della testa e si allontanò, borbottando qualcosa riguardo l’essere puntuale la prossima volta. Tony alzò gli occhi al cielo e sbuffò, cercando di trovare il coraggio di avventurarsi sotto il diluvio. Sospirò, maledicendo quel tempo incomprensibile, quindi si fece forza e uscì dal gazebo. Sentì le gocce cadergli addosso, stranamente pesanti. Molto pesanti, come macigni. Il dolore lo pervase, così come la paura. Fece per girarsi, per tornare al riparo, ma si sentì appiattire sotto il peso dell’acqua. Il sangue iniziava a scorrere e riuscì appena a lanciare un urlo, prima che le gocce di pioggia lo schiacciassero, spargendo sangue ovunque.
Cesare e Dante furono richiamati dalle urla e rimasero scioccati dallo spettacolo che si era mostrato davanti ai loro occhi. Lo scrittore, d’istinto, si mosse, cercando di soccorrerlo, ma Cesare riuscì ad afferrarlo prima che potesse uscire dal riparo.
“Dante, che cazzo fai?! Fermati!”
“M-ma Tony-”
“Hai visto che gli è successo? Vuoi fare la sua stessa fine?”
“Hai ragione… porca puttana, non ci avevo pensato-”
“Rifletti, cazzo, rifletti! L’ultima cosa che dobbiamo fare è farci prendere dal panico!”
Il resto delle persone all’interno del bar si erano riversati sotto il gazebo, anche loro attirati dalle urla agonizzanti del fattorino. Guardarono sotto la pioggia, e videro il cadavere di Tony, totalmente irriconoscibile, fatto a pezzi, mentre il sangue che ne usciva si mescolava con l’acqua, formando una sinistra tinta rossastra. Una donna, di fronte a quello “spettacolo”, cacciò un urlo di terrore, cercando rifugio tra le braccia del marito. Il panico iniziò a serpeggiare. Alcuni clienti iniziarono a chiedere con insistenza cosa fosse successo, altri addirittura cercarono di farsi spazio, di avvicinarsi alla scena, ma Cesare si frappose, prendendoli di forza e invitando tutti alla calma, anche se a modo suo. A quel punto gli animi si calmarono. Incalzati da Cesare, tutti quanti tornarono all’interno del Medusa Café, tutti visibilmente scossi. Cesare si passò le mani tra i capelli, cercando di darsi una sistemata. Li squadrò un istante, quindi parlò, cercando di fare il punto della situazione
“Allora, per chi magari non abbia ancora capito la situazione, siamo chiusi qui dentro al momento. Io e Dante abbiamo appena visto un uomo venire letteralmente massacrato dalla pioggia che vedete qui fuori e, non so voi, ma personalmente non credo sia il caso di avventurarci lì sotto. Sempre che non vogliate finire come Tony, ovviamente.”
La gente rimase ad ascoltarlo, ma si vedeva palesemente la confusione sui loro volti. Era chiaro che non sapessero cosa fare, cosa aspettarsi, come muoversi, e Cesare non era da meno. Si mise una mano sul volto, cercando di schiarirsi le idee, di prendere in mano la situazione. Lo sguardo corse fuori, e notò che la pioggia non accennava a smettere. Per un istante cercò di riflettere su quello che era successo, su come fosse possibile, prima di essere distratto da Lucrezia che guardava il cellulare attonita.
“Non capisco” disse la ragazza, lo sguardo sullo schermo del cellulare “il segnale c’è, ma è molto debole.”
“Controlla un attimo se riesci a connetterti ad internet.”
“Sì, ci sto già provando...niente, non prende.”
“Beh, perlomeno le chiamate funzionano” disse Cesare, leggermente rincuorato. ”Cercate di vedere se riuscite a contattare qualcuno, magari riusciamo a sapere che sta succedendo. Qui non abbiamo nemmeno un cazzo di televisore, non so come possiamo avere notizie dall’esterno.”
“Beh” esordì Beth un po’ insicura, “potremmo vedere se funziona la radio, magari dicono qualcosa lì.”
“Buona idea, vado ad accenderla.”
Cesare entrò di fretta nel suo ufficio, uscendone con un telecomando. Intimò a tutti di fare silenzio, quindi accese la radio, girando tra le varie frequenze. Il segnale era disturbato e la maggior parte delle emittenti erano totalmente in silenzio. Stava per perdere la speranza, quando finalmente dalla radio iniziarono a sentirsi dei suoni definiti, delle note. Era una stazione Radio Musicale. Cesare sembrò infastidito, cercavano notizie, non le hit del momento, ma la musica si interruppe poco prima che riuscisse a cambiare frequenza.
Si sentì quindi una voce di donna.
<<Ci scusiamo per l'interruzione, ma ci hanno riferito degli importanti aggiornamenti. Pare, infatti, che la strana pioggia iniziata oggi, intorno a mezzogiorno, stia causando dei gravi problemi. Sono moltissimi gli incidenti che vengono segnalati e molte persone che sono state coinvolte hanno perso la vita. Ci stanno assicurando che procedure per risolvere il problema sono già state avviate e il governo ci tiene a precisare che la situazione sarà presto sotto controllo, ma richiediamo a tutti di Non uscire. Ripeto, non uscire finché la pioggia non sarà cessata. Vi assicuriamo che, quanto prima, la condizione tornerà alla normalità. Ci impegneremo per tenervi aggiornati su qualsiasi evoluzione della situazione, restate in ascolto.>>
La musica ricominciò subito dopo l'aggiornamento, ma quel comunicato aveva contribuito solo a rendere più paradossale la situazione. Le persone all'interno del Medusa Cafè si guardarono tra di loro, gli sguardi perplessi, e dopo un minuto di silenzio iniziarono a dire la propria. Uno degli studenti, Marley, non era convinto della veridicità della news. Era sicuro che ci fosse qualcosa sotto, che la facessero troppo semplice, che era solo un modo per mostrare al popolo che era tutto sotto controllo e che, probabilmente, non sapevano nemmeno loro che pesci prendere. Margaret lo zittì subito, infastidita. Non le erano mai piaciuti discorsi del genere, li aveva sempre trovati eccessivamente qualunquisti, nonché inutilmente allarmanti, e in quelle circostanze poteva essere solamente dannoso. Erano comunque tutti visibilmente nervosi e si sfogarono tra di loro, finchè la rassegnazione non prese il sopravvento. Alcuni ne approfittarono per chiamare i parenti e gli amici, assicurandosi che tutti stessero bene, finché poco dopo il segnale iniziò a non funzionare più correttamente fino a zittirsi del tutto.
La pioggia nel frattempo continuava incessante. Dopo il discorso alla radio, Dante era rimasto fuori tutto il tempo, seduto, a guardare le gocce che cadevano implacabili. Rivedeva la scena davanti ai suoi occhi, flash di immagini. Pioggia, e Tony che urla agonizzante. Pioggia, e il sangue che schizzava da tutte le parti. Pioggia, e un corpo che sembrava sempre meno un uomo e sempre più un semplice ammasso di carne e fluidi. Aveva cercato di trovare un’altra interpretazione, una possibile causa, qualcosa che avesse più senso di un temporale assassino, ma quando aveva sentito le parole dell’annunciatrice sembrava essersene ormai convinto, per quanto il tutto restasse grottesco e inspiegabile. E rimaneva lì fuori, sentendo il rumore di ogni singola goccia rimbombare, così insistente da non riuscire a sentire nient’altro. Ad un certo punto Ulisse gli si avvicinò, sedendosi anche lui ad osservare.
Fu il barbone a rompere il silenzio
“Immagino che quello che Cesare ha detto è vero.”
“Già.”
“...”
“...”
“E adesso?”

Le ore passarono in fretta, tra il silenzio e l’alienazione delle persone all’interno del locale. Prima che se ne rendessero conto, si era già fatta sera.
Nel frattempo Beth aveva raggiunto Cesare nel suo ufficio. Iniziarono a discutere su quello che era successo, su quel comunicato alla radio che sembrava non aver convinto nessuno, finché non arrivarono ad una questione fondamentale. La pioggia non aveva neanche lontanamente accennato a smettere, e di certo nessuno si sarebbe azzardato ad avventurarsi lì sotto per tornare a casa, soprattutto dopo che la radio aveva chiaramente specificato di non uscire e rimanere al riparo. Vista la situazione, la scelta più saggia era senza dubbio quella di rimanere nel bar, sperando che spiovesse il prima possibile.
“Anche perché non potremo certo rimanere qui per sempre” aggiunse Cesare. “Questo è un bar, non un albergo a cinque stelle. Dio santo, sembra di essere in un film dell’orrore.”
L’uomo uscì dal suo ufficio, richiamando i clienti al piano inferiore. Si fermò un istante a guardarli, cercando di trovare le giuste parole. I volti delle persone presenti esprimevano chiaramente il disagio della situazione. In quelle circostanze nessuno sapeva a chi ci si poteva appellare, sembravano tutti un po’ spaesati, come se non sapessero cosa fare. Ma Cesare era il padrone del locale, e, per quanto anomala potesse essere la situazione, doveva cercare di gestirla.
“A quanto pare non smetterà sicuramente di piovere oggi” disse interrompendo il silenzio. “Non posso certo chiedervi di sgomberare stanotte, quindi potete rimanere qui finché non si risolve tutto. Cercate solo di non mettere sottosopra il locale.”
Le persone, timidamente, lo ringraziarono per l’ospitalità. Cesare si limitò ad annuire, affermando che non c’era nessun problema. Si avviò quindi di nuovo verso l’ufficio. Appoggiò la mano sulla maniglia, aprendo la porta.
“Ora penso sia meglio riposare. Prima passa ‘sta giornata di merda, meglio è.”
Chiuse allora la porta dietro le sue spalle, e sul Medusa Café piombò di nuovo il silenzio. Un silenzio interrotto solo dal rumore della pioggia.

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